Non ti dirò che ero già uscita con l’idea di andare lontano. Molto lontano. Che mi sono portata i cracker, come sempre, più la bottiglietta dell’acqua anche se non sai bere a canna, sperando così che tu tenessi duro, legata nel passeggino come un salame, il pile esagerato, ma ti ho tenuta così perché temevo che, se mi fossi fermata per togliertelo, non mi avresti lasciato continuare nella mia marcia verso la salvezza.
Non ti dirò che non sapevo dove andare, ma poi via via mi è diventato chiaro, un po’ come nella vita. E appena siamo finalmente arrivate a quella radura che avevo scelto come meta, ho vissuto un’esperienza pre-morte quando, il tempo di riallacciarmi una scarpa, sei sparita: ho spazzolato il boschetto lì dietro, il laghetto davanti taceva, due ragazze a piedi nudi stavano avvolte dall’ombra gettata dal solo albero alto della riva, e tu, ripeto: eri sparita. Ti ho trovato forse meno di trenta secondi dopo, nei quali ho pensato a: chi chiamare, la polizia, il dolore. Ma, più forte di tutto, l’impellenza dettata dal terrore. Per poi ritrovarti, placida come un origami, immobile e bella, stesa all’ombra del passeggino, pochi metri più in là delle mie paranoie (giustificate): eri caduta senza un lamento? Ti sei sdraiata di proposito? Forse sei più furba di me, hai trovato riparo e riposo in men che non si dica.
Non ti dirò che, già prima di questo, mentre macinavo chilometri con apparente scioltezza, ho avuto in più occasioni un sottile brivido chiedendomi se non ci stavamo perdendo, e perché mai avessero spostato il laghetto dove son stata almeno cinque volte negli ultimi pochi anni, e che anche i cani sanno trovare senza fiutare. Ho pensato che non avevo con me: soldi, documento, bussola, cartina. A cosa avrei fatto se davvero mi fossi smarrita, se avessi forato, se tu avessi cominciato a strillare, stufa di un giro sproporzionato – cominciavo a credere – con la tua tenera età e pazienza, e la mia avanzata età e fiacchezza.
Così, non ti dirò nemmeno che – c’era da aspettarselo – dopo la nostra pausa e i primi passi nella giusta direzione per il rientro, ho dovuto chiedere a un signore dove fosse l’uscita dal parco. Per un attimo ho pensato di fingermi straniera, così, per mitigare l’imbarazzo e giustificare la mia inettitudine. Poi ho ceduto all’onesta evidenza dei fatti. Quando, imboccata la strada giusta, riconosco il posto esatto da cui ero partita dieci minuti prima, ho capito di aver fatto un inutile cerchio, e che bastava fare due metri diritti da dove già mi trovavo. Non posso che esprimermi in due singole, semplici e compassionevoli parole che ben riassumono il mio sentire: “che sega”. E quando finalmente vedo il cancello stagliarsi davanti al sentiero esulto e ringrazio Dio: finalmente palazzi e cemento.
Non ti dirò che, per fare prima (roba da risparmiare mezzo chilometro sui quattro almeno che ancora mancano), ti ho portata con me ad attraversare il quartiere più infame della zona: una stringa pericolante di case popolari e una serie di officine per la rottamazione. Qua e là qualche individuo in macchine mal parcheggiate dai finestrini abbassati. Mi sarei abbassata anch’io, per scomparire. Per correr via evitando di finire rottamate anche noi.
Non ti dirò che mi è sembrato di fare un errore dopo l’altro, e che, passo dopo passo, stavo dando fondo alla mia virtù più scadente: la pazienza. Non vedevo l’ora di tornare a casa.
Eppure, piccola bestiolina coi capelli ridisegnati da un venticello ironico e dalla tua mania di levarti il cappellino di Snoopy, ti dirò solo che è stato bello. Che è vero, sono una frana testarda, ma sei stata un’ottima, minuscola compagna.
Esco a fare due passi (un titolo preso al Volo)
Qualcosa di nuovo?
Ti avviso io: a caso, quando capita, una vetrina degli ultimi post!