…parafrasi del film “L’amore è eterno finché dura”. Si potrebbe anche dire “Maledetto il giorno che ti ho incontrato”, per rimanere su Verdone. Maledetto forse no, ma di certo non la svolta salvifica che voleva sembrare: quel giorno sotto i portici, lo ricordo con amore bambino, innocente, le guance rosate. Raffaella mi parla di lei, la supercolf ucraina che non perde un colpo, tutti a bacchetta, arriva, si mette al lavoro, fa, strafa, non guarda in faccia a nessuno. E, di certo, non cazzeggia. Quattro ore due volte a settimana, Cenerentola impallidirebbe.
“Poi, con l’arrivo del terzo figlio, guarda, pensaci. Io mi trovo benissimo. Così invece di passare il fine settimana a fare le pulizie mi godo le figlie. Davvero, secondo me ti conviene. Ti do il numero.”
Il pifferaio magico, seguo le sue parole affascinata, sedotta. Passa una donna robusta, una sua amica, Raffaella procede nell’azione di marketing: “Chiedi a lei, lei ha tre figli, domanda com’è.”
Per un istante mi ritrovo confusa: è pubblicità pro-colf o anti-terzo-figlio?
In fondo non è che non ci pensassimo già da tempo: tolto qualche taxi per le terapie di Patrick (sostituito con ritrovata scaltrezza alla guida della sottoscritta), alleggerito il bilancio da qualche giapponese del venerdì sera (pericolosa consuetudine che risucchia 3×4… 120 eurini al mese, a conti fatti), la donna delle pulizie ci sta a pennello.
Dondolante sul mio sorriso che dilaga, fa seguito la bionda signora, col riso che le traversa gli occhiali: “Guarda, una volta provata non ne fai più a meno. Credimi.”
E io ti credo, ti credo eccome. Avevamo anche già cercato, a singhiozzo, a fasi alterne, una corsa a ostacoli tra una paccara e un’altra (si veda il post “La collaboratrice domestica”). Non è che avere la casa in ordine mi faccia ribrezzo.
E così, tra la mia richiesta di un paio d’ore il venerdì, e le sue pretese tre (nessuna si sposta per meno, anche se, in questo caso, lo spostamento è di cento metri dalla committente bionda a casa nostra), approdiamo al felice compromesso di tre ore ma centrate sulle terapie di mio figlio: lei viene, io vado. Torno e lei va. La casa è resuscitata nel frattempo. Bingo. Le terapie diventano la bacchetta magica, che converte il porcile in reggia. Prezzo modico. Ottimi risultati.
Passato un piccolo investimento iniziale (reciproco) in cui io le spiegavo cosa volevo e cosa fare, e lei mi imponeva con fermezza professionale quali prodotti acquistare, le cose sono filate lisce per qualche settimana. Con piccole sorprese, come ritrovare il viacal nel flacone vaporizzatore del vetril, e scoprirlo pulendo gli specchi in sua assenza nelle vacanze di Natale. Ma lisce.
Eppure, per qualche sfortunata ragione, o quello che inizio a considerare un malocchio delle colf, la nostra relazione non è destinata all’eternità: si vede che io e la categoria non siamo fatte per il matrimonio.
“Non so come dirtelo” esordisce al telefono questa mattina. Le stesse parole udite per anni da fidanzati fuggitivi. Mi è capitato di dirle anch’io. Perciò ormai le conosco.
“Puoi cercare un’altra”. Ottimo suggerimento: come se non ci avessi provato.
Mollata dalla donna a poche settimane dal parto. Non le faccio neanche un po’ di tenerezza?
Aveva ragione, Raffaella: “Una volta provata non ne fai più a meno.”
Peccato che non sia reciproco.
La colf è eterna finché dura…
Qualcosa di nuovo?
Ti avviso io: a caso, quando capita, una vetrina degli ultimi post!