SIAMO DUE FORME PERFETTE, UNA INTORNO ALL’ALTRA COME L’ANELLO E IL DITO
Gli altri sono in pizzeria coi compagni di Patrick. Siamo rimaste Isabelle e io. Sole, il sabato sera.
Mi ricordo quando Mathias andava a Bruxelles per lavoro, le mie serate con l’altro uomo di casa: uscivo con Patrick nell’ultimo sole, inseguivo il tramonto e le ombre, l’estate che arrivava. Tornavamo a casa e c’era un’intimità nuova, un giorno dopo l’altro. Staccare la consuetudine di noi tre, diventare due, scopriva paesaggi diversi.
Ho messo su una minestrina, mescolo con fretta, Isabelle si affanna, non le è ancora chiaro il concetto della cottura: un cibo deve passare dalle mie mani alla sua bocca, se ha fame. Senza l’intermediario di un pentolino sul fuoco.
E siamo a tavola: una cenetta romantica. È diverso perché non è uno dei nostri pranzi quotidiani, è diverso perché è buio, fuori, perché questo tête-à-tête è quasi rubato, intarsiato in una sera che doveva essere tutti fuori, e invece poi abbiamo scelto altrimenti. E così è diventato un appuntamento.
Lei e io: mangiamo come i grandi, come i grandi ci guardiamo, tra un cucchiaio e l’altro che pesca dal piatto. Chiacchieriamo. Ci ascoltiamo. Intavola discorsi che ha imparato da me, assume le mie espressioni, si acciglia, a un certo punto: “A, da, e, do ba, a, i, e dada, ba o ni, u o, mamma!”
Lo specchio rotondo di modi che, mi accorgo, dovrei limare, schiarire, ammorbidire.
Alle 8.30 siamo già alle comptines al pc, qua e là il trillo dimesso di un whatsapp, ripongo le stoviglie, lei un po’ canta un po’ s’imbambola.
Non ho fretta di metterla a dormire, la nostra è una solitudine chiara, piena di possibilità. Potrebbe rigarle con un lamento, impuntarsi con le sue prime pretese che affiorano in questi mesi. Invece è dolce come un giovane giunco, siamo due forme perfette, una intorno all’altra come l’anello e il dito.
La cambio, le infilo il pigiama coi pulcini, lei guarda in su, di due lampadine una sola accesa: “Luna.”
Vedere la luna in una luce qualunque. Questo, anche questo t’insegna la sua ingenuità.
“Vuoi vedere la luna? Dai, andiamo fuori a vedere!”
Scivola nel pigiama senza resistenze, anche i suoi occhi sono piccole lune di entusiasmo: si sono accesi, sfavillano e ridono.
Usciamo in giardino, c’è un chiarore promettente. Oltre le siepi, i Red Robin, in alto: “Eccola, la luna, guarda, Isabelle!”
La cerca, l’acchiappa: “Luna!” con i suoi suoni frullati e minuscoli.
È piena: “Hai visto, è come una palla.”
“Palla.”
E lì accade la cosa più romantica della serata: qualche nuvola lambisce la luna, la copre da un lato. Isabelle, tra le mie braccia, si mette a soffiare.
Soffia, soffia, dolce e insistente. Mi serve uno scatto, un piccolo balzo per scalzare la mente, allora ci arrivo: “Soffi per mandar via le nuvole…”
A volte, per comunicare coi bimbi, ci accovacciamo alla loro altezza. Altre, come questa, bisogna soffiare, alzarsi, levarsi, per essere alti come loro.
Commenti 2
Avevi ragione: è questo il bello del web: emozionarsi leggendo di un momento che in qualche modo porti nell’animo con la stessa forma, la stessa sostanza: un momento che è il momento di chi scrive ma che è anche il tuo momento, in qualche modo vissuto, assaporato.
Piccole lune di entusiasmo che rivedo negli occhi di mia figlia, adesso, mentre io scrivo e lei cerca di afferrare i tasti del pc: su, in alto, si leggono le ultime due righe del tuo post: ed io sorrido, e mi sento accarezzare il cuore.
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Sei una madre piena di emozioni, chissà la tua piccola quante te ne dà, e chissà quante da te ne assorbe. Torno senz’altro… a presto!