LE REGOLE NON SONO UN TRANQUILLANTE PER CHI SOFFRE DI STATI ANSIOSI
“E allora?” è una frase del cazzo. Impertinente, svogliata, irrispettosa e anche codarda.
Non che io ne sia esente, ma sentirla prodotta da labbra che non sono le mie mi rende immediatamente ostica l’espressione.
Lei è una signora piccola, di statura esterna e anche interiore (devo desumere), pascola il piccolo cane nel piccolo giardino. Un quadrato spelacchiato e orribile, direi il più disastroso di tutta la mia zona. Vedi quel cagnetto lì, e capisci al volo cosa vuol dire “vita da cani”.
A cento metri, duecento al massimo, ci sono parchi veri, aree per cani vere. Forse: anche veri padroni.
Ma a lei le piace lì. Più precisamente accanto, esattamente accanto, a uno dei 4 cartelli che recitano: VIETATO INTRODURRE CANI.
Ecco, le va un po’ di sfiga, devo dirlo, perché passo di lì almeno una volta a settimana e c’è sempre almeno un individuo con un quadrupede. Lo vedo, magari borbotto, ma solo ogni tanto esterno il mio pensiero. E, codarda io stessa, se trattasi di persona che conosco ho ancora più remore. Ma oggi va così, che insegno ai miei figli il rispetto per le regole e, mentre sono a pochi metri da lei, mi pronuncio prima ancora di aver deciso se pronunciarmi a riguardo.
– Signora, è vietato portare qui il cane, ha visto il cartello?
Non il massimo della simpatia, ma d’altro canto difficilmente si può risultare simpatici quando si apostrofa un estraneo.
– E ALLORA?
“E allora.”
E tu che le dici a una che ti sega così? E allora è una regola, allora in pratica potrebbero multarla, allora mi faccio gli affari suoi perché di questo angolino spennato non mi frega molto perché è raccapricciante ma magari potrebbe essere più decoroso senza le sue lusinghe di merda? Non so, veda lei. Allora mi frega perché in ogni caso mi dà fastidio il principio per il quale noi italiani consideriamo le regole un puro optional orientativo ma chi ha la sua buona bussola non ha bisogno di regole? Va’ che le regole non sono un tranquillante per chi soffre di stati ansiosi, non sono una bussola per chi si è perso. Sono regole. Punto.
L’ultima volta che ho redarguito un signore perché il suo cane lasciato libero infastidiva la mia bambina lui mi ha risposto serafico: “Ha ragione, scusi.” E l’ha legato subito. Mi sono talmente stupita di non esser stata mandata a quel paese da ringraziarlo e dirglielo: “Ah, grazie. Pensavo mi mandasse al diavolo.”
Però “e allora?” è indecentemente strafottente, come risposta. Mi coglie impreparata.
E allora? è dire ha ragione ma si faccia gli affari suoi. Non ho voglia di fare due metri in più. Non le devo spiegazioni.
Ammetto di averla usata anch’io, questa subdola scorciatoia: quando un figlio pretende e non voglio dare spiegazioni, quando mi sento invasa, quando mi sento oltraggiata. Quando non voglio un obbligo, una responsabilità, una colpa.
“E allora”, forse, sarebbe meglio dare una risposta. Ché e allora?, se ci pensi, non è nemmeno una domanda.
Commenti 3
E allora sta sulle scatole anche a me. Non lo sopporto e mi spiazza. D’istinto mi verrebbe da usare in risposta alcune “delicate” ed “educate” parole del mio dialetto, quello abruzzese, che funzionano ovunquemente, pure in Cermania. Ma reintrodurre l’educazione civica nelle scuole, no? Ho una pazienza quasi illimitata. Di fronte alla maleducazione e alla strafottenza mi parte l’embolo e divento un’altra persona.
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Mi causi una risata isterico-liberatoria 😉 Le parolacce in abruzzese non le conosco ma adesso qualcuna me la devi confidare. Io non brillo in pazienza, invece, e in casi come questo nonostante la mia apparente spavalderia fatico a dire la mia, soprattutto perché so di non essere dotata del massimo garbo quando mi irritano. Quel parchetto non so cosa deve aver fatto di male in una vita precedente, mi fa pena. Quanto alla signora, aveva pure una certa età.
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