SONO GLI ATTIMI, A RESTARE INCISI. I MOMENTI ESATTI IN CUI LA VITA TI AFFERRA LA MANO, TI SI METTE TUTTA LÌ DENTRO, IMMOBILE NEL SUO SFOCARE CONTINUO: E TUTTO È PERFETTAMENTE A FUOCO
Le sono rimasti i baci. Senza quelli non va, dati in numero preciso, in un certo modo, un suo valzer. Le sono rimasti come restano le pozze dopo i temporali, infila gli spallacci della cartella e me ne dà sei sulla guancia destra, sei sulla sinistra. A quel punto il fratello implora sbrigatevi, la fate dopo, la festa dei baci! Lui, lo zaino gravido già sulla schiena, i capelli che non avremmo dovuto fargli tagliare dai cinesi. Ma lei e io stiamo ancora dinanzi una all’altra, so che ne mancano ancora due. Ancora due me ne dà: uno sul mento, uno sul naso. Poi mi abbraccia e resta così sugli echi del rinnovato appello di Patrick. Mentre supera il Pitosforo ingigantito dalla nostra negligenza si volta appena, un piccolo quarto di testa bionda, lo scampanare della coda, una parentesi di stelline dalla sua giacchetta. E saluta con la mano. Addosso: un sorriso dei suoi, una di quelle porta aerei che sopra ci puoi osare il mondo.
Torno al mio tavolo sempre con questo ritratto. Passo un quarto d’ora a salutare gente in pigiama, altri sui mezzi pubblici, in macchina, in ufficio: sui social.
Poi sveglio Isabelle.
Quando è il nostro turno di uscire è tardi. Sempre tardi. Abbiamo speso venti minuti tirati, lei in quel fermo immagine di una brioche troppo lenta, morsi minuscoli e il tempo che sbrana, dai Isabelle, che siamo in ritardo! Salta su quel fusto esile di sua madre, galoppiamo con la fretta che si spegne passo dopo passo: Pesi troppo, amore, non ce la faccio più. Ad ogni non ce la faccio più mi incolla un bacio, mi fa ripartire. È il secondo, meraviglioso momento della giornata. Poi i saluti, sullo squillo spietato della campana. Oggi era un po’ incerta, la maestra la spinge tra gli amichetti, di solito vado senza un’esitazione, invece mi fermo accanto agli armadietti in salone, guardo dal vetro, le faccio una foto col cuore.
Penso agli attimi. Questi. Facciamo grandi cose, oppure non facciamo niente. Comunque sia sono gli attimi, a restare incisi.
I momenti esatti in cui la vita ti afferra la mano, ti si mette tutta lì dentro, immobile nel suo sfocare continuo: e tutto è perfettamente a fuoco.
L’attimo esatto che li rivedi nella folla, che la testa di Mathias sbucava dal dettato degli arrivi a Malpensa, quando firmi il contratto per la tua nuova casa, quando hai detto sì, un sì che piega la tua storia, le dà un prima e un dopo.
Quando andavo per le strade da ragazza, mi attraversavo la città, mi sedevo alle Colonne di San Lorenzo. Arrivava sempre un istante, preciso come deglutire, in cui sapevo che andava bene: alzarsi, venire via. Il momento in cui capisci che ami, quello in cui sai di tacere. Quello che lo capisci dopo, che ormai hai sbattuto la porta. Quello che invece lo sai subito: “sono felice.”
Non siamo altro: che enormi brusii fissati da attimi cardinali.
Commenti 2
Difficile commentare un post come questo. Sei sempre poetica e penso che alla poesia non servano commenti
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Grazie Noemi, fa sempre piacere l’ascolto e l’accoglienza delle mie “poesie”.