SCEGLIERE UNA COLF IN BASE A CHI HA PIÙ BISOGNO
Però la sfortuna chiama sfortuna. Penso questo.
Vi ricordate che cercavo una donna delle pulizie? Ho scelto di operare la cernita in base a una classifica che ho fatto sottoponendo alle candidate alcune domande. Queste mi servivano per capire chi, di loro, avesse più bisogno. Chi avesse figli da mantenere, per esempio. Chi venisse da lontano e avesse problemi di lingua. Chi avesse qualcuno malato da accudire, chi avesse più ore libere, perché vuol dire che ha pochi ingaggi. Tutte queste informazioni io non le ho strappate. Ho preparato pochissime domande generali, aperte, invitando a dire qualcosa di sé, e ho mandato questo messaggio a una rosa di persone.
Un sistema semplice, che mi ha permesso di vedere chi aveva più bisogno che timidezza, chi più difficoltà economiche che voglia di arrotondare.
Un metodo poco scientifico. Però partendo da una ventina di potenziali collaboratrici sono arrivata a tre. La terza tuttavia mi attraeva più per quanto avrebbe fatto comodo a me che per quanto avrei potuto essere utile a lei. Così siamo scesi a due. Alle altre, a tutte, do comunque una risposta. Do la risposta che enne aziende non mi hanno dato. Che dozzine di editori non danno.
La prima signora, quella prioritaria nella mia scelta, ha due figli da mantenere, uno sta al paese d’origine, soffre di una grave malattia. Non importa se e chi mi piace di più, l’istinto fa cilecca sul più bello.
In fondo ci piace sempre pensare che se scegli a pelle scegli a cuore. Ma l’istinto a volte obbedisce a vecchi ricordi,
ai pixel che sgranano, a un viso meno pulito e ti insinua un “forse”. Invece ho deciso. Le scrivo, le do appuntamento, le dico se ti va bene, se confermi, poi ti do via e civico. Passa un giorno. Passano due giorni. Hai speso anni senza una donna e adesso, Madda, c’hai tutta sta fretta. È che stava diventando un altro lavoro, sai, come promuovere il libro, come scrivere per il portale con cui collaboro, tenere i social.
Dovevi vederlo, quanta gente c’è che s’affolla per un tozzo d’impiego. Dovevi vederlo, era come scendere in piazza Duomo con un brandello di pane vecchio. I piccioni, loro, io la mano alta della Provvidenza.
È per questo che ho risposto a tutte. Per due settimane ho avuto la casella piena, e guarda i profili, e guarda il messaggio, e vedi la disponibilità. Perché anche se l’hai detto, che vuoi una che sta vicina, ti scrivono anche da Desio, da Trezzo sull’Adda. La gente ha bisogno di lavorare, cazzo. Non è forse per questo, per quel cencio di pane, che ho deciso di privilegiare chi è in difficoltà?
Al quarto giorno scrivo all’altra. Foto pulita, viso pulito, vediamo se è più efficiente. Ci vediamo subito, ha risposto prontamente, è venuta, puntuale, gentile. Aggancia la grande sciarpa all’ingresso, posa la giacca dove dico. Sorride poco, quando lo fa scopre una gengiva troppo spessa. Denti che cadono in basso, brevi e timidi. Mi ha seguito per casa delicatamente, nessuna domanda. Le scarpe neanche si sentivano.
Quanti anni hai?, le chiedo alla fine, quando ha già visto tutto, dove stanno le cose, lo stendino che troverà sempre pieno perché “è una cosa che odio fare, vuotarlo. Qui non si stira, te lo dico subito. Ma vuotarlo non mi piace, e quindi preferisco pagare te per farlo”. I mobili dove polvere in alto, quasi spaziale, attende da anni. E il secchio in cima al bagno di servizio.
– Quarantuno.
E com’è che non hai rughe?, le chiedo. – Perché non mi arrabbio – mi dice.
È lei.
La riaccompagno ai suoi piccoli calori, la giacca sulla panca, la sciarpa agganciata all’ingresso.
I figli sono già grandicelli. La facevano arrabbiare da piccoli, scherzo: quando la pelle era ancora elastica. Vedi che furba. Lei sorride ancora, i denti sempre crepuscolari. Tornerà fra due giorni: il suo inizio ufficiale.
La sera arriva il messaggio della prima, lo lascio lì qualche ora. Tanto ormai. Sì poi lo apro, poi le rispondo.
Quando ci torno, leggo quel suo italiano senza preposizioni, quei verbi zoppi. Comunque il messaggio diceva “buonasera signora chiedo scusa, ero di colpo in ospedale”, che è stata ricoverata, che adesso sta meglio, se per me va ancora bene vederci.
È stata male. Lei, quella del figlio malato al suo paese: “Posso andare il giorno che lei va bene”.
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