Affacciata al mio palloncino di quattro mesi, ieri, all’Ipercoop, faccio il primo tentativo di questa gravidanza di arrogarmi il diritto di precedenza alle casse. Ce ne sono almeno una dozzina, c’è abbastanza gente: la maggior parte è aperta e con coda. Ho Sarah nel passeggino e, sotto, una decina di prodotti che forse, a contarli, potrei andare in quella “veloce”, la cassa dei cestini, quella “fino a dieci articoli”. Invece cado giusto davanti alla cassa per le precedenze e decido di avvalermene.
Perché, in un paese civilizzato in cui nemmeno le strisce pedonali (infrangere le quali è contro la legge) vengono rispettate, non ci si può certo aspettare che si rispetti il senso civico “a gratis”, ovvero senza indicazioni supplementari. E così c’è bisogno di un pannello, affisso sopra UNA SU DODICI delle casse, che, a simboli, recita: PRECEDENZA A DONNE INCINTE E DISABILI.
Dovrebbe essere un’evidenza in ogni cassa, lasciar passare queste due categorie. Al contrario, se il cartello segnala una cassa in particolare, e soltanto una, si potrebbe pensare che quella sia dedicata specificamente a tali persone. Ma una cassa apposta sarebbe troppo, e lo capisco: di bambini se ne fanno sempre meno, e di disabili, se Dio vuole, non ce ne sono così tanti, oppure han rinunciato a fare la spesa. E così c’è una sola cassa dove si dovrebbe dare la priorità.
Il disegnino riporta una donna con un asterisco sulla pancia. Non hanno messo un pancione. Non hanno messo una donna col segno della croce rossa, in fin di vita. Né un disabile moribondo. Non ci sono indicazioni sullo stato di salute nel qui e ora, o su altre problematiche. Non ci sono condizioni. Se non due: disabili; incinte.
E così, a dispetto del palloncino, io passo avanti. Mi prendo il diritto. Con un sorriso che galleggia nella buona fede, in quella primavera profumata che ci circonda in questo periodo e che – erroneamente – pensiamo in grado di profumare e spargere fiori tutt’intorno, e ingenuamente prevediamo generare una serie di: “Prego, signora, ma che bello, a quando il lieto evento?”
Il signore che mi lascio alle spalle, un uomo ingombrante con un carrello che gli somiglia, commenta invece a chiare lettere: “Non è mica così grossa!”
C’è scritto “grossa”, sul cartello? – gli direi – Lei può sapere come non ho dormito le ultime ottanta notti? O i giramenti di testa che ho? O, ancora, c’è una controindicazione a passare avanti se sto bene?
Mi limito a ribattere, invece, con garbo asettico: “Lei è mai stato incinto?”
Un diritto è un diritto. Arrogatevi il diritto di passare avanti. Anche se state bene. Chiamatelo bonus di maternità, se volete. Un segno, piccolo piccolo, di festa: un riguardo al valore che portate al mondo. Il modo che la società, il prossimo, dovrebbe avere, di celebrare, sempre, la vita. E farle spazio.
Commenti 1
Hai perfettamente ragione: in un paese civile non ci sarebbe bisogno neanche del cartello. in Italia, invece, anche quando c’è il cartello si può trovare l’incivile (doppio!) che ti dice qualcosa…
E questo quando almeno il cartello esiste! Prova ad andare in un qualunque ufficio postale: non esiste nemmeno! Per non parlare di tutto il resto..
Ma cosa ci facciamo ancora qui in Italia??