COMPENDIO DELLE MAGICHE CIRCOSTANZE CHE FAVORISCONO IL GIOCO AUTONOMO
1. Il pieno
No, da piccoli piccoli non mi capitava. Nel senso che come piangevano li aggrappavo alla mini-ma-portentosa-Tetta (per questo degna di esser scritta comunque Maiuscola nonché meritevole di ripetute onorificenze): per cui se di fame si trattasse o meno, non era mai realisticamente dato sapere.
Ma già intorno all’anno e mezzo – due, si delineano situazioni dal potere decisamente facilitante il ménage materno e domestico, ossia quei momenti in cui i pargoli si librano in spensierate attività autonome. Prima fra tutte: il post-prandiale, anche detto “pancia piena”.
Sono passati nove anni dal mio primo figlio e ancora non l’ho capito. Li vedi che rantolano per casa sbiaditi da qualche insofferenza, poi cominciano a pizzicarsi, cigolano come porte arrugginite, giocano a chi s’impunta di più (normalmente ti coinvolgono), finché gli piazzi una badilata di pasta davanti. E tornano agnellini (che poi, nel nostro caso, è proprio un santo restare in famiglia).
E allora ogni volta sorrido, ma dai bastava ingozzarli come le anatre per il foie gras, la prossima volta sarò scaltra. Peccato che, a giovani animi, corrispondano evidentemente giovani stomaci, capaci di digerire anche il mastice in un quarto d’ora.
Tempo di serenità conseguita: 20 minuti al massimo.
Fortuna vuole che lì ci pensa madre natura, a innescare quello che può a ragion veduta definirsi l’altro grande mistero della gioia:
2. Il riflesso intestinale
Nei famosi cinque minuti che ogni madre teme, spesso il figliuolo non sta ridisegnando i muri, sgozzando il gatto o un cuscino del divano: sta solo cagando. E, misteriosamente, di norma anche a breve operazione segue un lungo periodo di remissione durante il quale il piccolo se ne sta tranquillamente da sé, imperterrito nelle attività complementari che già stava compiendo in seduta. Non è infrequente, a quel punto, trovare madri che preferiscono di gran lunga l’aleggiare alquanto denso di odori corporei (però silenziosi e innocui) al refresh del pargolo con conseguente rottura dell’incantesimo. Io ne sono illustre dimostrazione.
3. Il rientro
Se nella giornata i livelli di serotonina infantile dovessero subire drastiche riduzioni si consiglia allora l’uscita al parco. Non tanto per gli ovvi effetti dell’aria aperta, quanto perché, scaricati da chissà quali tensioni, una volta rientrati i piccoli ritrovano con rinnovato gaudio i loro giochi. Mi è capitato innumerevoli volte di trovarli immensamente annoiati e poi, tornando a casa, rianimarsi davanti al medesimo setting dove non un solo omino di lego o pupazzetto del Kaiser era stato spostato.
4. La novità
Da noi ai tempi chiamato giro-giochi (e poi via via scaduto in un debilitante giro-palle, per scarsità di pazienza ed eccesso di figli ma, credetemi, vale la pena provare). Necessario: un posto inaccessibile e segreto, la pazienza che noi perdemmo anni fa, e un po’ di giocattoli che il pupo non si fila da un pezzo. O anche sì, va bene lo stesso. A cadenze più o meno regolari sostituire alcuni dei “soliti” giochi, con alcune mirabolanti novità estratte dall’angolo segreto. Nessun bambino ha bisogno di tanto, ma di poche cose, sempre accattivanti.
Infine,
5. Il sempreverde: “Andiamo!”
Destinazione a scelta: a dormire, dal pediatra, a scuola. Scegliere quella più idonea al contesto, all’ora e all’età del bambino. Fascia ideale 2-5 anni.
Il fanciullo avrà improvvisamente una folgorazione di idee su come giocare da solo senza rivendicare altro che una cosa, l’unica che in questo momento non volete dargli: tempo.
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