È arrivato il sole. Quando entra me ne accorgo anche se gli do le spalle. Senza tanti cerimoniali lui si prende prima un trapezio minuto e smagrito sulla parete a sinistra, inghirlandato dai riccioli impressi dalle inferriate alla finestra. Poi si allarga, come un’idea che non accetta più di stare compressa in un angolo del cervello.
Arriva il sole, il mio saggio cane di compagnia, e mi prende l’occhio sinistro, dove le cose perdono i contorni, con quel baffo luminescente che è come accendersi un neon in faccia.
Allora mi alzo, dopo un’ora ferma a saltellare da un sito web a un altro, a sgranocchiare brevi pasti letterari. Vado a chiudere la tenda a fiori azzurri.
Mi accorgo che è l’ora del caffè, ne approfitto. Cambio l’acqua ai fiori accanto al bollitore, metto su quella che deve bollire, succhio un cucchiaino di miele. Costruisco piccole roccaforti, piccole tappe che si sono imposte, nuove, a quelle che già erano solite. Più tardi potrei anche uscire. Ma intanto il sole, benevolo e malevolo, mi ha distratta dalla mia distrazione. E così, anche oggi devo accorgermi: che non ci sei.
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