Sono rimasta incinta nel mese dei papaveri. Sono rimasta incinta quando ho deciso, quando volevo, come ho voluto.
Io, tanti amori e pochi progetti.
Io, eterna ragazzina senza convenzioni né convinzioni.
Io, i disturbi che per anni mi portavano dai medici, stanze linde, quadri alle pareti, salette gremite di donne con la pancia a forma di D maiuscola mentre ero piccola come un desiderio inespresso.
Sono rimasta incinta come bastasse il tempo: bastava arrivare a volerlo, presentarsi all’appuntamento. La scintilla arriva, si prende quello che deve, le dai quello che serve. Ed è Vita.
Io non conosco quella parte di donne e di post che stanno nella parte inferiore dei forum. Non conosco la sezione sotto la linea che tratteggia un destino, l’area dal titolo “Ricerca di un figlio”, “Fecondazione assistita”, o “Infertilità”, o “Aborto”. Si sta, accanto, l’alto e il basso dello schermo, gli alti e i bassi della vita. Si sta, vicine, perfino nelle stanze degli ospedali. Come il papavero nel campo di spighe.
Io sono quel rosso vermiglio che si è sentito forte e, intanto, pudico per un merito che non gli appartiene. Si congratula, la gente, mi fa onore e gloria. Io vedo il resto del mondo e mi sento invincibile.
Ma qual è il mio merito? Aver scelto di essere madre? Il desiderio di un figlio?
Sveglia in questa notte per un comune mal di gola, il frigo che balbetta un ronzio discontinuo, siedo in cucina, sola con quella vita dentro. In braccio al privilegio. La maternità è una cosa “naturale”, ma è anche un mistero, una realtà di eletti senza merito, che si va a prendere i prescelti senza ragione apparente e a volte ignora chi, in prima fila, implora.
Dal ventre buio di questa notte guardo la mia fortuna e penso a queste donne.
Voi non siete madri di figli, ma di eguali desideri e pari “merito”: quello di aver cercato la Vita, di averla in-Vita-ta. Madri diverse.