Ho dovuto conoscere Elettra Lamborghini. Per chi di voi non sa chi sia, non contate su immagini o video incorporati in questo post: non vi sottrarrò l’adrenalina di scoprirlo da voi.
L’ho dovuta cercare perché prima lei ha cercato me, nella forma di un paio di tette affacciate a un sedile di The Voice. Mio marito osserva che i figli la conoscono, la cosa mi fa sentire al pari: vecchia e perplessa. Ma l’ignoranza è madre del pregiudizio, perciò checché ne dica il mio cervello, passano solo due giorni dalla sera in cui quella troneggiava in mezzo a giudici cantanti come una maschera di carnevale ad agosto, e mi sottopongo alla ricerca.
Il suo nome non è casuale, è davvero connesso al fondatore della casa automobilistica. La sua giovinezza è un coro di diamanti, tatuaggi leopardati, piercing e feste da ricchi. Non ci si può incazzare, che un nome faccia un mondo, nemmeno ci si può intestardire che tutti debbano nascondere o lottare contro il benessere. Lei è stata più furba, è andata dritta allo sfoggio: l’ostentazione della ricchezza diventa un primo step verso il pubblico, e poi in braccio al nome si arrampica sulla rete, fa video, «canta».
Nei video solo grandi scodellamenti, il sorriso impreciso delle chiappe, quello dei seni che un articolo definisce oggetto di «piccoli ritocchi».
Non voglio usare la parola volgarità, perché è una rete troppo grande, a maglie sempre sproporzionate, chi le impone minuscole, chi grandi che ci passa il mondo. Cosa vogliamo trattenere, con questo termine, cosa filtrare?
Perché, vedi, a me non disturba che quella abbia scelto così. Mi dispiace, perché se a vent’anni senti già di doverti rifare il seno e vivi attorno a due mammelle, forse era meglio nascere mucca. Ma capisco anche che è proprio a quell’età che ancora non hai messo a fuoco. Il mio dispiacere, tuttavia, è un affare mio.
Quello che mi scuote (più di quanto lei scuota la carne nei fotogrammi) è che si generi un circo impressionante, su questo, che attorno a lei si coagulino già ragazzetti delle primarie,
che si passino queste scene sui banchi di scuola, si scambino impressioni o due versi di quella che, nemmeno volendo, si può chiamare «canzone».
Dove le prendono, queste cose, i figli? Dai compagni. Dai cellulari di chi un cellulare l’ha avuto subito, al primo richiamo dei genitori. Di chi i genitori li convince presto e li chiama a rapporto. Da chi è libero (o dimenticato?), a guardare quello che offre la rete.
Poco cambia, una volta alle medie avrà il cellulare anche mio figlio. Poco cambia:
non impedirei a mio figlio le sue amicizie. Gli chiedo, semmai: cosa condividi, con il tuo amico? Perché un magnete tra loro dev’esserci.
Con lui, quello da cui ha imparato Elettra. E alcuni altri nomi: – Scrivili.
Rosario Muniz, Canazzo, Leone di Lernia, Young Signorino.
Per voi saranno nomi ovvi, io avvizzisco sentendo i giunti delle generazioni, che poi sarebbero dis-giunti, punti di distacco. E poi cerco. Come ho fatto con la Lamborghini. Young era uno psicopatico, si è spedito in overdose così da entrare in coma. Sperava di uscirne diverso. È uscito che gli piace sentirsi Satana, a suo figlio avuto malauguratamente perché la vita spunta anche nella merda, chiede di chiamarlo «Papà Satana».
Allontano i miei figli, mentre guardo, siamo a pranzo, il giorno della Liberazione.
Dove finisce il nostro controllo e dove inizia la loro parte di mondo noi non possiamo sempre saperlo, prevederlo, capirlo. Ognuno risponda alla propria coscienza.
Se questo fosse il copione di un film, adesso scopriremmo che Elettra è sotto copertura, lo sa da sempre che non si entra al grande banchetto della fama senza un nome e un quarto di carne.
Dentro ha un cuore speciale, il rilancio spirituale, grandi novelle per i ragazzini. Presto scenderà da quei top evanescenti, e un fan dopo l’altro ascolteranno grandi rivoluzioni.
Se tutta quell’energia venisse usata per trascinare folle verso buone follie. Folle: verso nuove, rivoluzionarie follie.
Invece non ha inventato niente.
Spero che i miei figli trovino sempre qualcosa di vero, coi loro amici, che abbiano cuori verosimili: veri, e affini quanto basta per ossigenarsi a vicenda. Che si divertano, anche solo. Che tra una risatina da preadolescenti e qualche parola infelice che inneggia alla droga trovino dove passa la vera liberazione: perché questo, sì, sarebbe inventare qualcosa di nuovo.
[Photo by Ryoji Iwata on Unsplash]
Commenti 4
Standing ovation.
Hai messo nero su bianco quello che ho pensato nel momento in cui mi sono chiesta chi fosse la fanciulla e sono andata a cercare informazioni.
E poi mi sono detta: pago il canone per TV che dovrebbe essere di qualità. Invece rifila ai giovani modelli discutibili…
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Ma poi cosa c’entrava a The voice, accanto a pilasti come Morgan o Gigi d’Alessio? La tv fa come tutti i media, passa ciò che tira. Canone o meno. Il guaio è che anche programmi innocui o perfino carini da fruire coi figli diventano infestati da queste presenze: per me i talent show hanno un valore, oltre che divertire mostrano passione e impegno nelle cose che si amano, e sono di solito i soli programmi che mettono d’accordo tutti e tre i miei bambini (10, 8 e 5 anni). Accanto a questo, il problema è che molte famiglie considerano normale lasciare accesa la tv con queste donnine, lasciare i figli incontrollati agli schermi. Come dicevo su FB i bambini non hanno ancora ormoni in circolo, ma crescono che fa fico vedere ste cose, e così le diffondono ai compagni. Con una precocità ormai inaudita.
Le tue parole mi hanno colpito molto, perché le condivido tanto. Sui genitori così propensi a scodellare un cellulare e a ritenerlo un amico fidato per i propri figli, sull’esistenza di un mondo di perfetti sconosciuti che per i nostri figli tali non sono. E forse dovrei fare come hai fatto tu, e chiedere ai miei figli di quali personaggi parlano con gli amici. Ma rimanere nella mia ignoranza è un piacere che faccio fatica a negarmi.
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Capisco il piacere dell’ignoranza, inoltre c’è anche il rispetto per l’intimità del figlio (fino a certi punti) per cui non posso mitragliare di domande. Ma io qualcosa chiedo, anzi pensavo anche di chiedere chiaramente: ma a te piacciono questi personaggi? E perché? Perché accanto alla questione morale c’è anche lo spunto educativo di insegnare ai figli a ragionare con la loro testa. A dieci anni, almeno per come è il mio di bambino, di tette non gli frega nulla, e di questa Elettra sa solo perché l’amichetto gliel’ha rifilata.