DOVE SIAMO CRESCIUTI DA UNA CHE ERO, A CINQUE
Due metri di lunghezza, uno di profondità. Non si può dire che tu sia piccolo, sei un bestione che prende il suo spazio. Molto.
La tua è una storia lunga, col tempo hai preso ancora più volume negli eventi, di quanto ne occupi nella stanza, e adesso qualcuno sorriderà, una parte di me mi beffeggia: “Andiamo, è un divano!”
Questa volta non ce la facciamo proprio a salvarti. Ti abbiamo rimandato mille volte, l’ultima è stata quattro anni fa: Isabelle stava per nascere, spostammo Sarah in camera con Patrick. Pareva impossibile farci stare due letti, il comò, l’armadio, e anche il divano che, prima, non arrecava alcun disturbo. Su ebay non ti ha cagato nessuno, sei stato in vetrina per un mese, poi capita che ritrovo un po’ del mio spirito progettuale, lo miscelo col buonsenso, con qualche rigatura al parquet, ti sposto, ti ipotizzo: e, diamine, la spuntasti ancora!
Mi avresti fatto comodo, tutto sommato, all’arrivo dell’ultima piccola, magari mentre l’allatto posso stare qui a far compagnia a Patrick e Sarah che giocano. Me ne sono detta tante, di mezze verità.
Stamattina dopo aver portato Isabelle alla materna ho fatto il giro del quartiere. Ti cerco una sistemazione degna, ti scampo alla sepoltura.
Il primo tentativo è l’Associazione qui davanti, mi aprono: – Venga dentro che ne parliamo.
Un signore su una scala sistema pacchi di riso in un armadio, un altro ancora più anziano con gli occhi nebbiosi di cataratta ascolta curioso. La donna dice di no, che non ne hanno bisogno.
E poi sono fuori sotto la pioggia, il signore del riso è uscito con me, non apre l’ombrello, si lascia bagnare da quella che sgocciola dal mio e si accende una sigaretta.
– Pensi che una volta…
Gli hanno rifilato tante bidonate, gli alberghi chiamano, pensano che le Associazioni siano un fosso dove buttare di tutto: letti con le reti sfondate, materassi di gommapiuma che si sbriciolava.
– Ormai avevamo già concordato il ritiro, così ce li siam portati qui: solo le sedie, abbiamo salvato. Il resto abbiamo dovuto smaltirlo noi, chiamare l’Amsa.
Perché
il volontariato è qualcosa da tempo perso, da roba perduta, perdente.
No, il nostro è un signor divano, acciaccato dagli anni, ma con una sua dignità, con una storia dentro che io ci voglio altre storie, altri cuori a sobbalzarci come hanno fatto i nostri, il mio, quello di mio marito, quelli di tutti i miei figli.
Patrick l’abbiamo concepito lì, credo.
Prima di allora il divano giallo è stato l’inizio della mia vita da sola, la sera che rientrando dall’ufficio lo scorsi nel cono di luce gettato dal pianerottolo. Accesi quelle di casa, era finalmente arrivato, mio padre si è occupato di farlo portar dentro, non mi ha detto niente, non dico niente nemmeno io: piango un po’, stingo un po’ quel silenzio.
Poi mi ha seguita, in tutte le mie case, in tutte le mie facce.
Nella mansarda dove è cresciuto Patrick, dove Mathias ci finiva le nottate, l’alba arroccato col piccolo. E poi in questa casa, nella camera dei bambini.
– Provi qui accanto, chieda di Mara.
Non mi è facile nemmeno immaginarlo di qualcun altro, io passo per le strade e ci vedo culi ignoti, storie sconosciute. Però provo.
– No, guardi, ne abbiamo appena preso uno.
Venivo una settimana fa, magari ti trovavo casa. Invece sei come mille faccende di quelle che poi lo faccio. E poi è tardi.
Fra dieci giorni arriva la camera nuova, è escluso che tu possa essere ancora lì.
Vado in un altro posto, una di quelle Associazioni che fanno tutto e niente, che non ho capito. Magari conoscono qualcuna, chissà quante famiglie bisognose, io salvo voi, voi salvate me dall’idea angusta di un tritarifiuti, di quel camion senza scrupoli che verrà a prenderti un mattino all’alba, le stesse albe dove accoglievi mio marito e mio figlio. Il signore di prima ha capito, però poi mi ha sciorinato i dettagli di quel divano-letto di sua figlia, sa non usciva nemmeno dall’ascensore, ho dovuto segarlo in pezzi.
Segarlo.
Mi apre una donna anziana, dentro una fa la maglia, un’altra passeggia in quei pochi metri quadri, la mia domanda appare del tutto fuori luogo, ma tant’è, ormai sono qui.
– No, mi spiace.
Si volta dalle altre, avete bisogno di un divano?
Così, tanto per.
La prossima tappa è il tabacchi, e non è per te. Tu viaggi ignaro in un paio di foto nello smartphone. Torniamo a casa.
Ho provato di tutto e credo che sparirò.
Quando verrà quel grande mostro dalle fauci immense. Non voglio vederti uscire di qui, non voglio vederti mollato in strada, a ridosso della casa per non intralciare troppo. Tanto lo so che intralcerai, i marciapiedi qui sono esili. Qualcuno smadonnerà, qualche ragazzo che rientra dal pub, un cane ti piscerà sulle gambe, la pioggia strazierà la tua tela gialla.
Dove siamo cresciuti da una che ero, a cinque.
Dove occuperai uno spazio enorme, perché hai dentro tutti i libri che abbiamo letto, le lotte a cuscinate, i salti, le scivolate, i sonnellini, le caverne e le tane, i ristoranti finti coi piattini di plastica, i vestiti di carnevale,
le foto in posa e le pose senza foto. Gli amori senza posa.
Tutti gli amori. Tutte le stagioni.
Commenti 4
Solo tu riesci a trasformare la storia di un divano in poesia 🙂
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Ha dentro proprio un pezzo di me, quel divano! Almeno, se dobbiamo smaltirlo, gli ho dato onore con le parole.
sai che ti capisco? Anche io avevo degli oggetti che ho fatto molta fatica a lasciare. Però negli ultimi anni i traslochi sono stati un po’, ho dovuto rinunciare per forza, che dispiacere ogni volta. Venendo al lato pratico: hai provato a mettere un annuncio su subito.it Regalo Divano? In genere si precipitano in molti…
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Ma come… mi capisci? Ma mi capite tutte? Bellissimo, giusto e sano, in fondo se mi aveste sdrammatizzata dicendo un tiepido e denigratorio “suvvia” mi sarei sentita un po’ sola. Però così chi me lo dà il coraggio? Su Subito l’avevamo messo, facevamo a gara con molti altri a 1 euro o giù di lì, pur di liberarsene. Niente. La notte porta consiglio. Il mattino porta gli sgombranti. Cavoli devo affrettarmi a risolvere, per ora non abbiamo ancora prenotato l’Amsa.