Una volta si faceva l’esame di coscienza. Con la scusa della preghiera, l’Ave Maria e il Padre nostro bisbigliavano promesse e buoni propositi sotto i fiori arancio della tappezzeria, mia madre stava sul ciglio del letto. E non si sgarrava. Era un’ottima occasione.
Anche dopo, quando ho cominciato a pregare con mia sorella, nell’età che vai a letto senza un bacio, un saluto buttato per il corridoio lunghissimo di quegli anni. Ridevamo. Certe sere. “Ave Maria…”: dovevamo ricominciare anche cinque o sei volte da capo. Chissà cos’era. Era sentire le nostre voci raccolte. Con mio fratello andava ancora peggio. Quelle vacanze in Alto Adige nelle estati da ragazzini. Perché, in estate, io stavo con lui: il beneficio della secondogenita, un po’ ovunque, un po’ in nessun luogo.
Cavoli, se si rideva.
Però, insomma, uno spazio in qualche modo lo facevi, alla riflessione. Fosse anche perché non ascoltavi le parole che uscivano dalla tua stessa bocca. E allora intanto ti facevi viaggi pazzeschi, se domani piove o partiamo per la gita, se sarà dura, devo dormire subito che poi papà ci sveglia. O l’alternativa scolastica, se domani m’interroga o la scampo, se ho studiato abbastanza, devo dormire in fretta che poi mamma ci sveglia. E tra un volo e l’altro capitava che ci finiva un riassunto, un carosello. L’intervallo come quelli che giravano in Rai. E ti rivedevi la giornata. Le emozioni forti ti si scaraventavano addosso, poi gocciolavano, le guardavi avvallarsi in rigagnoli destinati al sonno. Però arrivavano.
Accanto, qualche raggio di benevolo orgoglio: oggi ho dato metà merenda alla mia compagna, ho detto grazie a mia madre, ho aiutato mio fratello. Le buone azioni. Ci andavano insieme. Insieme alle preghiere, e all’esame di coscienza vero e proprio che le aveva per anni preceduti nelle notti bambine: “Ripensa alla giornata di oggi, pensa bene come ti sei comportato…” Non so se me lo dicevano loro, se me lo sono inventata da me, in una spinta spontanea alla santità. Le buone azioni però erano parte fissa dell’educazione: il valore della bontà per sé stessa. Senza fare i conti in tasca a nessuno:
“Sei felice, non sei felice?” No: “Hai fatto una buona azione?”
Adesso non si prega. Io i miei bambini non li faccio pregare. E probabilmente sbaglio. Mi siedo sul bordo del letto come facevano i miei, sfoglio Geronimo Stilton, qualche versione di celeberrime storie riadattate a quel topo che ormai detesto, una canzone, un bacio. La crema sulle mani in inverno. E così la fanno sempre franca.
Dovrei metterli a letto prima. Stiamo perdendo quello spazio in cui gli occhi ancora cercano, e ci si trova. Ci si riconcilia, anche. Spuntano storie arroccate su dettagli che il giorno ha depositato. È un altro modo di aprirsi, prima, e di raccogliersi, poi. Forse è anche questa una forma intima e vitale di preghiera.
Si ride. A volte tanto da piangere, Patrick mi chiede perché. “È il solletico del cuore” gli dico. Ognuno ha i suoi punti sensibili.
Adesso ridiamo senza la scusa di una formula a memoria. Come ridevo con mio fratello. A modo nostro rimettiamo ordine ai valori.
Commenti 6
Non ho mai pregato molto. Si doveva andare a messa la domenica. Quello si, che era importante. Da qualche mese però abbiamo iniziato a dire una preghiera prima di iniziare a mangiare. Mi sembrava che il fatto di poter mangiare fosse troppo scontato. Allora l’abbiamo introdotta. Una novità per tutti noi, perchè da bambino non l’ho mai fatto. Una piccola tradizione familiare solo nostra non tramandata. Alle bimbe piace molto. La propongono anche quando siamo fuori casa. Una preghiera può far pensare, e può far ridere, sicuramente fa qualcosa.
Un saluto
Lorenzo
Author
Da una persona come te in effetti me l’aspettavo… un gesto, un rito tanto dolce e delicato. E’ una buona idea, solo bisogna credere in qualche Dio, se no chi ringrazi, a tavola?
Non limiterei la preghiera alla credenza in qualche Dio. A tavola i bimbi potrebbero ringraziare la mamma che ha preparto la cena, e magari noi ringraziare i bambini se hanno apparecchiato. Ringraziare è una cosa che un pò si è persa, visto che tutto è dovuto e scontato.
Un caro saluto
Lorenzo
Author
Hai ragione, la tua è un’osservazione bellissima. Mi hai dato un ottimo spunto, oltre quelli che credevo di aver già scovato io nelle sere… Grazie Lorenzo, a presto.
Anche io da bambina, con mio fratello, recitavo la preghiera prima di dormire. Adesso ho un libricino, una sorta di calendario, dove ogni giorno c’è una riflessione, una preghiera, un pezzo dal Vangelo. Ma, spesso, mi addormento senza leggerlo per poi recuperare successivamente. Con bimbe e marito, no. Fra un paio d’anni mi piacerebbe introdurre un momento dove poter raccontare/ricordare una cosa bella successa nella giornata.
Bello anche lo spunto di Lorenzo.
Author
Esatto: ritrovare un momento, un rito in cui raccogliersi, magari anche come dice Lorenzo, è una parte che non dovrebbe andare persa, al di là del credo personale.