Seduta esattamente davanti a me, nella staffetta dei posti a tavola.
L’ha capito, che qui siamo un po’ in burrasca, che quella spuma ariosa dei figli fa presto a diventare catrame. E noi come quei pesci annichiliti dal petrolio.
Una volta mi curavo di mettermi su un sorriso e poi modulavo la voce, come t’insegnano quando t’insegnano a cantare, la respirazione, il diaframma. Mi piaceva dare l’idea, cercarla, di essere una buona madre. Poi nel tempo mi sono lasciata in fuseaux da casa, il reggiseno è un accessorio che quasi riservo alle grandi occasioni. La maglia sfinita dalle notti, da certi pisolini che – questi sì – mi concedo segretamente.
– Come sono le tue mattine, allora?
– J’aime pas. Pas du tout.
Glielo dico perché non ho il tempo per una risposta migliore. Perché siamo a quei cioccolatini che ha portato e forse, più di tutto, perché sta andando bene.
E poi ha quell’orecchino storto, lei non lo sa, io sì, che la sua imperfezione può fare un po’ di spazio alla mia.
È che in questo periodo mi trovo a mezz’aria, non sono più mamma a tempo pieno, ma come provo a prendermi la mia parte, c’è qualche imprevisto. Lei ha lavorato tanti anni nell’immobiliare, e poi è rimasta a casa, poco prima della pensione, le sono rimaste addosso certe agilità, certe prospettive, magari le scarica in grandi viaggi, nella cultura, nelle uscite al museo, a teatro. Con chi non lo sappiamo, non ha marito da troppi anni, e poi ogni tanto viene qui, raccoglie il suo tributo.
Lo capisce, che faccio fatica. Le influenze, i pidocchi, le visite mediche, i colloqui,
una donna è quello che resta tra un figlio e l’altro, tra un dentista e una bronchite.
E poi studio. E sì be’, diciamolo: in questo momento il cambio valuta non è vantaggioso, rispetto alle mattine di prima.
– Il faut avoir quelque chose qui te donne du plaisir, tous les jours.
La cosa giusta. Quando uno la dice io gli voglio un po’ più bene. Quando mi presento con le mie lische spolpate e tu ci accendi una luce benevola, come la zucca di Halloween, a me sembra di tornare intera.
Perché posso essere come sono, coi miei pezzetti fuori posto.
L’indomani mi porta un mazzo di gigli alto quanto lei, li metto nel vaso più grande che ho, spalo due mani di polvere, li sfodero dalla retina rosa. È il piacere di oggi? indovino il suo gesto. Ha raccolto i panni stesi e le attese, i bambini che la vogliono e poi la rifuggono. Le mie asperità e i miei dondolii. In una presenza gentile, rotonda. E quando, la sera, ci saluteremo perché riparte, mi dispiacerà che se ne vada. Mia suocera.
Commenti 4
Che saggia tua suocera!
Magari fossero tutte così! 😊
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Solitamente la convivenza è difficile, pur essendo lei una donna molto in gamba. Questa volta ha avuto un grande tatto, o forse io mi sono lasciata fare, o chi lo sa: io credo che quando c’incrociamo bene troviamo un bell’incastro :).
Com’è bella questa descrizione di tua suocera. Chissà quanto ne è stata felice! Sei di una dolcezza infinita
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Ciao carissima! Non so se mia suocera leggerà e capirà tutto, il suo italiano è in apprendimento (e io non le ho detto di aver scritto di lei ;-)). Sono dolce ma spesso di una dolcezza molto ben nascosta! Grazie Noemi. :*