FA UN GRANDE EFFETTO SBIRCIARSI DENTRO SENZA SCUSE, NEMMENO QUELLA DI SCRIVERE
Dice al piano terra, a destra. Dietro di me altre tre donne, un piccolo ciao tra sconosciute, anche tu qui per il corso? Poi dentro.
La porta è aperta, altre si stanno già togliendo le scarpe, affollano di sandali quel tappetino écru. Lei è magra, filiforme, le gambe chiare custodite da un paio di leggings blu. Avevo riletto le ultime mail, volevo essere pronta, sapere se darci del tu, del lei, ma nell’ultimo scambio epistolare C. si rivolge a tutti i partecipanti, ci racchiude in un semplice voi.
Invece ciao! esordisce, e ripete a ognuna di noi. Il sorriso sbarca sotto occhiali un po’ grandi, i capelli lunghi della foto sul suo sito web adesso sono intrappolati in un nido alto.
Io.
Senza la difesa delle scarpe, della borsa da trastullare tra le mani. Senza un cellulare che ci tiene a galla, sempre. Salva ogni minuto dalla nostra idea di perderlo.
Da otto anni ho sempre qualcuno intorno. Un figlio, un gruppetto di gente amica, un parente. Mio marito. Le volte che sono scalza sono quelle in cui vado da un medico. Allora sto nell’attesa correndo su me stessa, aggrappata allo smartphone, alle cose da fare. Oppure osservo: fuori, parole che mi vengono incontro, che aspettano quel morso di carta e di penna da trovare in borsa.
“Io aspetto, ho problemi alle ginocchia, meglio ridurre al minimo la posizione seduta.”
C. ci ha mostrato il tavolino con l’acqua, qui c’è il bagno, potete già entrare e sedervi, lì c’è la sala.
A casa mi sono seduta sulle piastrelle del bagno: dovevo vedere se i pantaloni che già indossavo andavano bene per mettermi in quella posizione con le gambe incrociate. Ho pensato ok, ho tenuto quelli. Ma non è una posizione che amo, so di durare poco, procrastino, le altre, anche loro, sono ancora qui all’ingresso, scomposte e timide.
Però mi affaccio. Per prima. La curiosità mi sporge dentro: cuscini da meditazione orlano la stanza buia. In mezzo un sentierino luminoso di minuscole luci bianche, come quelle degli alberi di Natale. Una ghirlanda muta e magica. Resto colpita, uno scossone che si produce in un wow sospirato, perfino le mie parolacce non hanno il coraggio di emergere.
Io.
Quando mi siedo faccio come faccio sempre: cerco. Qualcosa di familiare, una zattera. Trovo la maniglia della porta bianca, penso che è identica a quella del mio studio. Le tapparelle alle finestre, la casa dei miei, la camera dove sono cresciuta. Cerco le mie difese.
Ha qualcosa di sacro quella stanza. Senza dei.
Ha qualcosa di sacro lo spazio. Uno spazio che poi lei entra, entrano le altre, entra l’unico uomo, e quella parola torna e ritorna.
Ho ascoltato ogni parola di C. come fosse l’unica da ascoltare. Come se la mia vita intera fosse appesa a quel singolo fiato verbale. Ho smesso di guardare gli altri, ho lasciato le tapparelle, la maniglia. Ho seguito le sue istruzioni nell’esercizio di meditazione. Gli occhi chiusi, non sono stata la solita me che si vergogna, che adesso qualcuno spia, e se mi viene da aprirli, gli occhi? E se qualcuno mi guarda?
Quando C. chiede a chi vuole di raccontare come ha vissuto questo primo esercizio e cosa si aspetta dal corso di mindfulness taccio.
Taccio perché non lo so. E ancora di più taccio perché lo so. Che ho avuto senza sosta un groppo in gola, l’emozione di esserci, un’ancestrale nostalgia. Sola. Non sola. Dentro me stessa. In un tempo che non mi do mai, come molte madri mai si danno: essere senza fare. Essere senza giudizio. Né colpe. Essere. Senza pensare a quello che fuori mi aspetta, i figli, la casa, la vita che crediamo sia quella lì, lì fuori. Lì intorno.
Fa un grande effetto sbirciarsi dentro senza scuse, nemmeno quella di scrivere. Neanche quella di capirsi, di risolvere cose. Curiosando.
È una vertigine buona.
Commenti 5
Oh sì, è una vertigine buona e ne abbiamo sempre tanto bisogno. Solo che, a volte, lo soffochiamo.
Buon corso.
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In verità era una lezione di prova, anzi una presentazione con la parte anche pratica. E non mi sono ancora iscritta, ho dubbi su alcune cose, anche se di sicuro lo spazio interiore per sé è una cosa cui credo fermamente. Non so decidere in che modo darmelo…
non so se ne sarei capace ora…il buio fa paura
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Eppure dentro non è buio come crediamo. Se fai quello sforzo di fermare tutto e “stare”, incredibilmente non svuoti, ma senti i pieni. Detto questo, io sono la prima che si ferma ma sempre ancorata a una scusa, un’emozione, una sensazione: abbiamo paura a mollare la presa…
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