ASPETTO. E INTANTO M’INVENTO
Ho avuto paura di smarrirti.
Mi manchi in questa casa in queste ore come manca chi è lontano nei gesti. Sarebbe diverso, vedere il tuo letto con le bambole che Isabelle ci ha messo, oppure trovarvi lei che ci si infila. Sarebbe diverso il tuo posto non più conteso a tavola, e anche i disegni che stremano il davanzale. I tuoi capelli sul pavimento, quelli rimasti annodati in elastici che intorno raccontano le tue traiettorie.
Se fossimo ancora perfettamente noi.
È folle come un colpo imprevisto sbaragli. Lo è già nelle malattie, lo è perché l’ospedale è un concetto che fa paura, lo è perché segmenta le famiglie, grida di un grido che sovverte l’ordinario. E poi, quando l’ordinario lo vai a cercare, non risponde. Trovi diverso tutto, perfino come gira la lavatrice che alla fine sei riuscita a fare. Anche la faccia della cassiera qui accanto, ieri, era diversa.
È tanto più folle qui, che siamo dentro in un inizio senza sapere cosa. Che ti prende e ti burattina su scenari mai visti. Allora alzo le dita con cautela, non voglio essere io la zoppia dei tuoi fili.
Ieri ho fatto una lunga pausa. Dopo due giorni di brevi ritagli, vedere i tuoi fratelli come si vedono le pubblicità, sempre facendo altro, in parallelo. Arrivargli addosso con una frenata che lascia il segno, cercare due sole cose: normalità e lacrime. Non poterne nessuna. Invece
se al tempo gli dai la sua occasione lui piano piano fa le sue cose, è una formica laboriosa.
Mi serviva smettere di avere paura: di vederti al cesso, di sentire la porta. Di vedere che non lasci nemmeno la stanza, di annusare i tuoi conteggi. Dovevo smaltire i colloqui, tutta la pressione che mi sono presa come quell’acquazzata che è venuta fuori, come quella che becchi quando per sfiga sei in braghe corte e con la testa al vento. Ho cominciato a scolare, a defluire, le gronde dell’assedio.
Stamattina ti trovo senza progressi. Nel corpo, nelle reazioni. Bastano poche ore, sono una madre che non è più solo tua madre, sei un viso che cerco dietro a file estenuanti di rifiuti, di verbi esclamativi. Certi momenti sono silenzio. Aspetto chi doveva osservarti: non l’ha fatto. Le parole degli esperti. Via per il weekend. Aspetto l’indagine, sulle povertà di una madre, i buchi che ti ho scavato addosso mio malgrado, o forse ci sei nata. Se hai qualche paura che non sai, rimossa sapientemente e poi cucita nel corpo. E intanto m’invento. M’invento con tutta la forza che imploro.
M’invento per convincerti a lavare le mani. M’invento per convincerti a bere, per distrarti, per farti uscire di lì, per capire se comunque ti manca questa casa, se quel letto con Hello Kitty rosa poi va bene che ci si infili solo la Isa o ci pensi anche tu, se fuori la piscina è rimasta gonfiata per nessuno. Se hai voglia di venire a far pipì trecentodieci volte, di nuovo, in questo bagno.
E un piccolo noi torna su, rimonta dal fondovalle. Oggi ho messo l’iPad con un corso di ginnastica, abbiamo fatto piegamenti a piedi nudi in camera per venti minuti, era la mia sola occasione di moto, era la scusa per averti un po’. Ti ho disegnato oggetti comuni che poi, così mi dici, personalizzerai. Troverai tratti umani in ognuno, il naso nel becco della caffettiera, l’orecchio nel manico di una tazza, nove ombelichi nella tastiera di un cellulare. E penserò che sei sorprendente.
Non dire a papà che ti ho dato il permesso di dire qualche parolaccia con me in ospedale. È il nostro segreto. Tieni quell’impazienza che hai avuto oggi di rivedere Isabelle, di prenderla per mano e convincerla meglio di tutti noi in ciò che vuoi. Sali sul davanzale senza farti beccare da quella stronzetta che stasera ti ha ripresa neanche fosse pericoloso: guarda fuori, senti l’attrazione magnetica del mondo. Io sono appena dietro, ti faccio una foto e poi metto giù. La foto, le mie paure. Così ho le mani libere per le tue.
Commenti 5
Speriamo passi davvero presto… il week end è finito!
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Grazie Priscilla, e speriamo anche che non torni!
Leggo le tue parole e mi sento svuotata delle mie. Meglio così, non ho nulla da dire che possa aiutarti veramente. E quello che ho da dire e che penso ogni giorno tu già lo sai. Un bacio alla piccola e un abbraccio a te.
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Sei preziosa. Appena esco un po’ dall’egocentrismo che ogni difficoltà procura, torno a trovarti. Ho voglia di leggere e di respirare altro 🙂
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