La via è lunga e spenta dall’ora solare e dal maltempo. Ho attraversato la città dentro un vagone vuoto e veloce come una navicella spaziale, sono affiorata in superficie con quel piccolo brivido delle cose nuove. Quelle che ti sei abituato a non fare: trovarsi in una strada di cui sai solo il nome, cercare un indirizzo e un civico nell’anonimato dei lampioni.
Guardo le pareti, schivo quel grande divano di pelle che deve avere più anni del mio pneumologo: un quadro con una caravella, poi due di donne, la poesia Valore di un sorriso. Quando mi chiama dentro sono già sudata. Lui è un pazzo, uno che ha voglia di parlare, stasera ne ha più del solito, si prende tutto lo spazio che vuole, svincolato dai dettami di qualche struttura ospedaliera, di qualche centro medico. Come un bagnante su una spiaggia libera. Lui è uno che coi timidi non so come fa: forse sbraga anche se quelli gli tengono gli occhi fissi e pallidi, anche se di là nessuno rimbalza il cicaleccio. Con me va fluido, siamo della stessa specie, ci diamo del tu di nuovo, subito, parliamo di occhiali e mi dice che a lui la vista cala perché è da troppo tempo che non vede la Jolie, che ha bisogno delle belle donne per riacquistare diottrie. L’ho detto: è un pazzo.
Gli allungo le carte dell’altra volta, ho fatto tutto diligentemente, ogni cura prescritta. Respiro bene, lo sento. Mi dice adesso ti visito, facciamo la spirometria e vediamo se confermiamo la diagnosi. E lì m’inceppo un attimo, ingoio una domanda: non è più certo, che sia asma?
Spogliarmi è un gesto incerto, salgo nella soffitta delle mie difese e poi scendo giù, in strada, a filo con la sua convivialità: – Va’ che ho le ascelle sudate.
E nemmeno depilate, penso.
La prima casella di questo ennesimo giro dell’oca è buona, i polmoni sono liberi, ho solo un po’ di catarro tracheale, così dice. Torno nella mia maglia, mi siedo. La spirometria è un ricordo bastardo, una sorta di tortura in quella cabina dove col naso pinzato rantolavo, sembrava una bara di cristallo per vivi. Ma lui la cabina non la usa, basta un boccaglio, come i sub, si è comprato l’ambaradan negli States, ha risparmiato un sacco di euro, adesso sul monitor c’è la curva del mio respiro, e una folata di candeline su una torta gigante che forse serve a far collaborare i bambini. Be’, io le spengo tutte, mi sento abbastanza sega, invece faccio una buona prova, una buona gara. La diagnosi è confermata: è asma, dovrò curarmi a vita.
Ma vinco due medaglie: la prima è che ho una capacità polmonare superiore alla media.
– Hai dei polmoni da atleta.
– Bene. Peccato che col mio cuore non posso fare agonismo. Che me ne faccio?
Poi invece dico che posso usarli per cantare. Canto che il fiato non mi finisce mai, da che mi curo. Per la gioia dei vicini. Dei figli, quando urlo incazzata.
La seconda è la saturazione. Infilo il dito in quel ditale col filo, il piccolo schermo sfarfalla i suoi numeri e poi s’assesta: 99.
– Eccellente. Nessuno ha 99 di saturazione. 99 di solito ce l’hanno solo i bambini.
Io salto su, come i clown dalle scatoline con la molla. Ho la purezza dei bambini, ho quella forza sorgiva, dentro. Non è solo per la salute,
è conoscere dal vero quella bambina che sento ancora di essere. Eccola qui, è in uno scambio tra il dentro e il fuori, in due enormi orecchie alveolate che tutti ci portiamo dentro: è ossigeno.
È questa capacità di saturazione che mi ha salvata, dice: – Eri messa così male, l’altra volta, che bastava crollasse la saturazione, di solito succede, scende a 70, e finivi in rianimazione.
Tre quarti d’ora dopo sono un’alga solitaria fuori da una gola del metrò dove ho sbagliato a scendere, forse perché felice, stordita da questa sbornia. Ho preso i tornelli della lilla e ridevo come alle prime cotte. Aspetto Mathias che viene a prendermi ma non sto ferma: dondolo nel mare buio, davanti ai graffiti che svegliano i muri. Quella saturazione si espande, diventa gratitudine e orgoglio. Trionfo.
Mi hanno salvata una seconda volta da qualcosa di grave. Una era il cuore, adesso sono i polmoni. Mi hanno salvata perché c’è gente brava, e perché alla fine io sono esattamente questa:
Commenti 2
Non sai quanto mi renda felice leggere le tue parole. È bello sapere che ci sono medici di questo genere. Ma la capacità di guarire, beh, quella è tutta tua 🙂
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Grazie Noemi, ma di fatto non è che sono “guarita”, infatti le cure sono da fare a vita. Però la risposta del corpo è ottima, quindi sì… ho ottime risorse, questo è vero. Manca ancora un pezzo del puzzle, le alte vie aeree non sono mai davvero a posto e le cure proposte per queste non hanno efficacia. Vediamo. Ti abbraccio, ti penso molto in questo periodo. :*