Io vado a zonzo per la vita. Solo che poi mi sento persa.
Mi piace volare, non vincolarmi. Solo che poi mi sento sospesa.
– Cominciamo dal tuo nome: Maddalena. Ti piace?
– No. Ma ormai mi sono abituata. Il nome è come il corpo, c’ha sempre qualcosa che non va, per esempio io ascolto il suono, la D mi piace, la M non molto. Ma soprattutto detesto chi mi chiama Magda. E dire che la G dura è bellissima.
– Come ti chiamano più spesso?
– “Mamma”!
– Tre cose che non sei.
– Sofisticata, ottimista, sicura di me.
– Dai tuoi scritti molti ti immaginano ricercata, fine, elegante: non ti ritrovi?
– Devo essere evidentemente schizofrenica, la me che scrive forse è così, ma fuori dalla scrittura sono grezza, tendo al maschiaccio, i toni sono diretti, schietti, detesto il perbenismo. In fondo anche sulla carta qualche vocabolo volgare spunta sempre.
– La poesia allora da dove viene?
– Da quel cuore che me le canta. Le mie espressioni sono sempre in accordo con quello che sento, forse i suoi modi romantici e poetici sono una forma dolce della stessa irriverenza per cui alzo il dito a chi mi sfreccia davanti sulle strisce, per dirne una.
– Dici di non essere ottimista. Eppure spesso ti definisci idealista, sei una sognatrice…
– Non è mica la stessa cosa. Anzi, direi che si escludono a vicenda.
Tra l’idealizzazione, il sogno, e la possibilità reale passa una cosa enorme: chiamata vita.
Quando cerco di essere positiva mi fermo sempre a metà, al primo incrocio mi dico ecco vedi, essere positiva non serve a nulla, ma il punto è che devi continuare a esserlo, se no è solo una forma nobile di ingenuità.
– Il momento peggiore della giornata.
– Le quattro e mezzo quando devo prendere i bambini a scuola. C’è tutto quel flusso mestruale incontenibile, devi azzeccare dove stanno i tuoi figli, poi aspettare che la maestra ti localizzi mentre ti sloghi il braccio per farti notare, in mezzo a cento altri che si slogano il braccio per farsi notare.
– Il migliore?
– Quello che non ti aspetti. Ma anche quello che sai, come la sera quando credo sempre di guardarmi chissà cosa alla tv e invece finiamo a vedere Ben e Holly con Isabelle. La delusione che non viene è sempre una piccola gioia.
– Una cosa che non sai fare.
– Nuotare. E cucinare. Riesco a sbagliare perfino il purè in fiocchi pronti.
– Una che sai fare. Anzi due, a questo punto.
– Scrivere, anche se chissà quanto c’è da migliorare. La seconda non mi viene. Però forse cantare, canto benino.
– Blog o altre forme narrative?
– Entrambe le cose. Ma il blog ha un vantaggio, su tutti: segue i dossi della vita. Se sei dentro una storia grossa che detta il tuo umore puoi cavalcarla, non hai bisogno di strutture, di strategie, né di soffocarla perché in quel momento ti stai occupando di altre narrazioni. E se non c’è niente di grosso va bene lo stesso: puoi dire anche quello.
– Cosa fai quando sei incazzata?
– Se posso esprimo lucidamente e posatamente le mie ragioni a chi mi ha fatto incazzare. Se non posso per paura o assenza o rango, o perché trattasi dei miei figli e voglio cercare di modulare le reazioni… allora mi sfogo col Santo Marito, parlo da sola, scrivo, canto una canzone che amo, fumo una sigaretta. Calmarmi è una cosa che faccio dopo, quando è finito il rush: serve a spazzolare le ceneri del fuoco.
– Cosa fai quando hai paura?
– Sto ferma come un pendolo senza spinta. Non è una bella sensazione. Fatico a distrarmi e, lì, perfino i vapori della scrittura arrivano poco. La paura è un brutto male. Meglio la rabbia, allora, più vitale.
– Futuro, passato o presente?
… (continua)
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