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Maternità

Ci sono sere che ti basta un muretto

NON HAI FATTO NULLA, NON DEVI NIENTE. TI SIEDI E RITIRI IL PREMIO

 

Mi metto in un canto. Sono una che non prende troppo spazio, io. Non lo diresti. Ci scommetteresti che mi piace l’epicentro, stare dove si generano i sismi degli eventi, le rivoluzioni dei parchi all’uscita da scuola. E invece no. Io mi scelgo un muretto di cinta.

Se hai voglia, se capita che passi, ciao è un po’ che non ti vedo, tutto bene? io ti rispondo. Sorrido. Magari capita che da lì finiamo a parlare del perché ho una laurea in architettura.
Architettura? Ma dai? Davvero?
E mi dici che se rifai casa mi tieni a mente, mi tieni presente.
Va bene, dai. Ti lascio andare dietro a tuo figlio che già scappa. Comunque non ce l’hai, il mio numero. Per la casa, dico. Ma tanto non è nemmeno che devi cambiare casa, giusto?

Se non passa nessuno va bene uguale. Va anche meglio, è un altro tipo di gioia, un’altra occasione. Mi tiro il golfino grigio un po’ sotto il sedere. Mi metto a guardare.
Il venerdì è ancora più bello. Si sente la fretta che scappa. Sorrido nel suo paradosso.
Si vedono le mamme che si addensano, non hanno il nervoso del lunedì, è festa anche per loro, pensano già al ragù di domani, alla torta della domenica. Alla gita, se fa bello. Dov’era già? In Piemonte, quel posto che ho letto, quello coi tulipani.

Mi piace restare qui, sono nel basso del volgo, il ventre, eppure fa come essere su, nel nido di un passerotto. Non do fastidio a nessuno, nessuno ne dà a me. Poi guardo i miei figli. Io mi metto qui e guardo i miei figli crescere. Ascolto l’orgoglio arrivarmi dentro come una ricompensa.

Isabelle ha fatto il salto. Prima Patrick e Sarah annusavano il mondo, rovistavano tra i cespugli, in cerca di quel gatto bianco e nero che gira in questo mezzo ettaro. Correvano e sparivano, trattieni il fiato per un attimo ma poi lo sai che sbucano come un pedone dalla curva. Lei stava di qua, attaccata alla sua mamma radice, ai suoi piccoli passi. Questo muretto che le arriva all’anca. Dei due poli opposti restava sempre incollata al mio. Invece un giorno i fratelli la chiamano, vieni con noi? E in un attimo erano davvero tre, tutti insieme. Loro, e quel gatto che era già fuggito.

Così adesso sono sola, un muretto, ai margini. È una solitudine buona, quei filati caldi che lasciano respirare la pelle. È sapersi senza cercare. Loro, io. Seduta qui col sole che butta avanzi non penso nulla. Bevo. Mi bevo i miei bambini, lo spettacolo gratis. Essere madre senza fatica. Con tante volte che ogni richiesta è un torto, ogni insistenza un fastidio, che ti fai un mazzo tanto e scavi nel vuoto, ci sono sere che ti basta un muretto, l’asola di un maglione da giocare tra le dita. Non hai fatto nulla, non devi niente. Ti siedi e ritiri il premio. Il dessert del fine pasto te lo offre la casa.

Qualcosa di nuovo?
Ti avviso io: a caso, quando capita, una vetrina degli ultimi post!

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  1. Ketty

    Che bel racconto! Vorrei essere capace di stare là a guardare dal muretto senza fare niente altro. Forse quando i miei cresceranno saprò godermi lo spettacolo senza ansie di intervento di alcun tipo. Baci.
    Ketty

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      Maddalena Capra Lebout

      Ciao Ketty! Arriverà, arriverà, anche se non stabilmente: ci sono giorni no in cui stare al parco è un esercizio circense, si provocano e litigano più che a casa, del tipo “per stare qui a scannarvi tanto vale farlo a casa, così non faccio brutta figura” 😉 Ma, insomma, prima della fase in cui la mia presenza diverrà addirittura superflua… c’è questo intermezzo fantastico: osservo e godo 🙂 Un abbraccio, grazie per la tua visita!

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