GUARDO LA SOLITUDINE DI QUELLE BIRRE. ASPETTO IL MIO MINUTO.
LO SAPPIAMO ENTRAMBE: NON FAREI A CAMBIO
Ha capito che è una mattina difficile.
Raccolgo le cose dal nastro trasportatore. La mozzarella è in un sacchetto di plastica, uno di quelli che trovi nel banco frutta e verdura. Chi l’ha messo?
“Io” mi dice. “Le ho fatto una cortesia.”
Batte altri articoli.
Mathias svuota i due carrelli debitamente colmi del rientro a Milano, Sarah e Patrick adesso sono fermi, rispondono alla cassiera che non ricorda i loro nomi.
Isabelle lo sa dire, ormai, a casa mi è capitato di sentirla che gironzolando afferma fiera: “Mi chiamo Isabelle Lebout.” Però se glielo chiedi fuori tempo, fuori posto, se non ti conosce o non le garba, si raggomitola come un vermicello sul bastoncino. Non c’è mica verso di fargli fare quello che dici, ai bambini. Non sono mica bestie da circo. Loro lo sanno, si prendono le libertà che gli spettano. Anche di più.
Oggi è stato fuori tempo tutto. Volavano sberle piccine e pure rapide, sembravano battiti d’ali incazzate. Non le hanno apprese da noi, le imparano dal mondo, le hanno dentro, forse, fan parte dell’istinto, forse la cattiveria e la violenza arrivano coi centimetri, crescendo. Isabelle le vede dai fratelli, replica.
Vestirsi è stato uno sterminio: la casa sembrava un campo minato, si cammina saltando da un improperio all’altro. Sarà il caldo, sarà questa cappa: dell’afa, della città, del ritorno. E poi sono stufi di fare la spesa: non è una grande attrattiva, andare al supermercato. Non lo è più. Soprattutto se tra i castighi c’è il divieto di comprare merendine per la colazione.
Poi la lotta per chi siede vicino al finestrino in macchina, le ripicche, le recriminazioni.
Allora quella mozzarella lì, stupido acquario latteo, un po’ mi rincuora. Ché trovare la sua confezione molle forata al rientro e passarmi mezzora a ripulire borse della spesa in effetti oggi avanza. Non ci sta.
Guardo quel ragazzo in coda dietro di noi: le sue cinque birre, lattine tranquille che occupano due spanne di nastro.
“Ah, che fortuna…”
“No, la fortunata è lei.”
La cassiera mi dà ancora del lei. “Mi creda, sono una mamma anch’io.”
Ne ha tre, come me. Grandi, ormai adolescenti. Dice che ogni fase è bella.
“Quando finisce” scherzo.
Ma lo sappiamo entrambe.
Che quel casino è intessuto dentro di noi. Che basta un attimo e la giostra si ribalta, le onde tornano indietro, il mare vola e il cielo diventa un tappeto erboso. Che in un minuto tutto torna come se n’era andato.
“Ti fanno un sorriso, una scoperta, una confidenza, e ti sbaragliano.”
Guardo la solitudine di quelle birre. Aspetto il mio minuto.
Lo sappiamo entrambe: non farei a cambio.
Commenti 2
Birrette, quando i figli hanno preso sonno? 😉 mi pare un giusto compromesso 😊
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Saggia donna… In verità non amo gli alcolici, ma se non ho un puntello di tempo solo mio oltre i figli sclero 😉 (Comunque stamattina vanno dai nonni, ho mezza giornata mia evvivaaaaaa). Ps: goditi il tuo tempo (con o senza birre) quando la tua bimba fa il riposino…