SEGUITE L’EMOZIONE COME UN FILO. PERCHÉ L’EMOZIONE NON È UN PROTOCOLLO COVID, NÉ UN CARTELLO AFFISSO COL SEGNO DI INDOSSARE LA MASCHERINA. OSSERVATE IL VOSTRO COMPORTAMENTO, ASCOLTATE L’EMOZIONE, E POI SEGUITELA COME FOSSE IL VOSTRO FIGLIO MIGLIORE
Esistono diversi modi di essere responsabili, e mi riferisco all’emergenza Covid. Al di là dei protocolli, della parte pratica, materiale… esistono diversi modi di essere responsabili a livello di atteggiamento: timorati, attenti, ragionevoli, previdenti, prudenti, terrorizzati, paralizzati.
Sotto la definizione generale di «responsabilità» quello che vedo troppo spesso, specialmente nella scuola, è un uso del tutto improprio della parola «responsabile» o «impegno», dove alla giusta attenzione per le misure necessarie al contenimento si accompagna una sottile eppure fitta campagna di minaccia velata.
Un’insegnante che ripetutamente ricordi ai bambini che tutti sono a rischio, che possono ammalarsi e contagiare come tutti, non solo dice il falso, ma sta cercando di sfuggire alla più basica consapevolezza dei propri demoni interiori.
Un intero Istituto che obbliga i bambini a stare al banco perfino alla ricreazione perché se no si rischia la diffusione del virus, sta nuovamente facendo propaganda intimidatoria, lesiva non solo dei diritti psicofisici dei ragazzini, ma della loro crescita emotiva. In una involontaria disonestà che mentre non si cura di accertare il rischio effettivo, impone agli alunni le proprie paure, l’educazione alla paura, la mala informazione, la mancata consapevolezza e ammissione della propria vulnerabilità. Si manipola l’esercito muto degli allievi pur di proteggersi dalle proprie paure.
Per contro apprendo da mio figlio – seconda media – che nei bagni non c’è carta né sapone né gel.
Il gel c’è all’ingresso, quando arrivi a scuola. E poi, semmai, in classe.
Parliamo di ragazzi e ragazze dagli undici ai tredici anni. Alcune magari, facilmente, già piccole donne. La carta e il sapone non ci sono mai stati, ma questa mancanza già difficilmente giustificabile di suo, ora diventa una contraddizione inaccettabile.
Dunque un ragazzino non può alzarsi, ma può andare al cesso e non lavare le mani. Toccare maniglie, porte, vestiti, con le mani a malapena sciacquate da un getto d’acqua. Spesso: nemmeno questo.
Spostandoci dal fatto igienico al piano educativo: state insegnando che bisogna essere «responsabili» (mi piace utilizzare di nuovo questa parola con la stessa irragionevole abbondanza con cui la usate voi altri), ma che si può essere incoerenti. Che se tutti abbiamo paura, allora forse la mia paura (di insegnante, adulto, genitore, dirigente) sarà più sopportabile. Che se vi insegno un rischio non dimostrato, posso ottenere il controllo per le mie stesse paure, vendendovelo, nuovamente, per responsabilità.
L’ho fatto tante volte, e vorrei riproporlo oggi: c’è una grande occasione, in questo covid.
Che non è l’empatia per i fragili, né per il personale ospedaliero, né per chi si è visto sottrarre un «congiunto». Di quale empatia potremmo infatti parlare, se non sappiamo nemmeno provarla per noi stessi?
Perché chi induce paura e continua a promuovere l’annullamento dei bambini e dei ragazzini, dovrebbe fare qualcosa che non ha mai fatto, e che tutti siamo chiamati a fare in questo tempo: guardarsi dentro.
Sappiate districare, nel vostro parlato, quanto vi viene imposto da paure che riguardano voi stessi, la vostra incolumità, la vostra storia, le vostre aspettative, da quanto è reale, oggettivo, e non in vostro potere.
Sappiate distinguere, nel vostro agire, quanto è un meccanismo di difesa dettato dal vostro personale timore, e quanto è lucida scelta.
Sappiate osservare.
Meno gli altri, e di più voi stessi.
Perché spesso quello che vi fa imbestialire dell’altro, che vi fa minacciare, controllare, imporre, è il vostro bisogno di controllare le vostre paure, di imporvi su voi stessi.
Invece di guardare quante volte un ragazzino si sporge da un banco o se passa una matita al compagno, guardate in voi cosa questo produce.
Invece di raccontare che i bambini sono a rischio, guardate in voi il vostro rischio.
Se poi volete davvero utilizzare il covid come una pista di lancio dentro e verso voi stessi, anziché contro il prossimo, allora provate perfino a connettervi con questa paura e scoprire quali siano le sue radici. Forse avete una storia di paure, alle spalle. Forse un ricordo che vi pilota. Forse una insopportabilità all’indeterminazione, all’incertezza.
Seguite l’emozione come un filo. Perché l’emozione non è un protocollo covid, né un cartello affisso col segno di indossare la mascherina. Osservate il vostro comportamento, ascoltate l’emozione, e poi seguitela come fosse il vostro figlio migliore.
Vi porterà in camera sua.
Giochi smessi. Madri che sgridano. Malattie mai rielaborate. Ingiustizie che vi attanagliano. Perdite mai recuperate. Desideri insoddisfatti. Frustrazioni laceranti.
Sappiate che qualsiasi cosa troverete, anche fosse la più truce e inammissibile, vi renderà migliori di quello che siete a lasciare quella stanza chiusa, l’emozione disattesa, e gli altri soggiogati dalle vostre battaglie represse.
Con amore, sappiate che mentre scrivo anche io imparo.
Pensieri rotondi
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