QUANDO SEI SOPRAFFATTA E NON RIESCI A CORREGGERE ALLORA TOGLI
Una cosa strana, buffa o forse triste di me, è che sono piena di dubbi.
Non quelli nobili che rendono interessanti le persone, che le guardi e pensi questa è una donna ricca, alla ricerca, curiosa, viva. Piuttosto una che cammina sempre con quest’animo gonfio, l’acqua al pelo che cerco di non versare, i piedi nudi che però è come avere un fottuto tacco dodici. Una che fuori deve avere i cartelli stradali in tutte le lingue. Che lo sa, che la verità è dentro, e allora quando finalmente l’acchiappa si sente tutta intera. E cosa fa, secondo voi? La scrive, naturalmente.
La parte buffa è scripta manent ma non per me. Io dopo un paio di curve mi fermo di nuovo. Le stesse domande, il porfido balbuziente sotto i tacchi a spillo. Poi trovo la risposta, la scrivo, e cos’accade, secondo voi? Che ci sarà un’altra curva: vero. Ma, prima, che scartabellando nei miei troppi diari troverò che quella risposta me l’ero già data. Ha a che fare coi valori, col tornare all’amore. Di chi hai accanto e di chi sta un po’ più in là. Di quello che faccio, di ciò che desidero.
Io non m’imparo mai.
È bello, perché devo conoscermi sempre. È brutto, perché ricalco sempre le stesse scene. Sono una poesia che non mi entra in testa. Nemmeno se cerco d’impararmi col cuore.
Poi ci sono i fermi. Da settembre: troppi.
Piccioni che cagano sui cartelli nascondendo le indicazioni. Il guano a terra che scivola sotto le suole. La strada a destra e invece se avessi preso quella a sinistra…
A un certo punto non lo sai più, quello che vuoi. E ci metti un sacco di tempo per capire che
quello che vuoi è ciò che hai già, solo che non sta funzionando.
Vuoi solo che funzioni. Ti annodi. Procedi ancheggiando: non per vanità e sensualità, lo fai per dare un colpo qui e un colpo lì: provi.
Lanci: dicono che quando vuoi davvero una cosa l’Universo si mette in moto per dartela.
Cazzate.
Dicono che se credi davvero in un sogno si realizzerà, che puoi avere esattamente la vita che vuoi. E io penso: non lo voglio.
Che vita sarebbe se potessi davvero avere tutto quello che voglio? Se la vita fosse un metallo allo stato di fusione e a te basta plasmarla… La vita è un gioco a due, a dieci, a mille. Intersezioni, dinamiche, scambi.
Come quelli ferroviari. Snodi.
Quando però ti sembra che dall’altra parte del campo nessuno ti rimanda la palla smetti. Quando la vita diventa solida e non riesci nemmeno a smussarla, insisti, rincari, più forza, più energia, e lei sta lì: ti fermi.
Ti chiedi se valga la pena. Quella direzione. Questa fatica.
È quello che ho fatto. Puoi chiamarla fuga, io la chiamo consapevolezza.
Quando sei sopraffatta e non riesci a correggere allora togli.
Ho tolto Facebook.* Tre giorni. Potevo farlo per tre settimane, per mesi. Invece poi torno. Perché non sono così coraggiosa: potrei abituarmi a stare senza. Un “senza” grande fa paura.
Ho smesso di scrivere. Ho perso la permeabilità che ti fa percepire le cose, prima, e la voglia di narrarle, poi, di schiudere a chi, quello che hai visto. Sono diventata egoista, chiusa, arcigna, isolata. Perché a Natale nessuno ha voglia di sorrisi al contrario. Così vi ho protetto, così mi sono consolata.
In quella penombra dove strisciano e soffiano piano e poi forte le blogger: quanto dare, come, a chi. Se snudarsi, se il blog è una tanica sotto una grondaia, che ci pisci dentro tutte le tue acque piovane, se invece no: ché devi preservare il lettore, non gli puoi sbattere addosso tutti i tuoi umori. E poi c’è il marketing, lustrarsi e fare bella figura. Io le belle figure le avevo solo negli album Panini. Non sono tipa. Così un po’ mi sporgo, un po’ torno dentro, nelle mie radici.
Ma se devo dirla tutta (e forse un po’ di onestà mi libera e m’illustra – che non è affatto la stessa cosa di “lustra”) in queste settimane di fatiche a vuoto quello che vi consiglio è
Quando si chiude una porta…
vedi di non lasciarci le dita.
*Mi prendo qualche giorno.
Senza.
Senza vedere che Facebook fa quel cazzo che vuole a dispetto di chi si fa un mazzo così. Che la sua assistenza che non merita la A maiuscola da quattro mesi non risponde alla mia pagina dove non posso vedere le azioni che compio perché c’è un baco, dove le inserzioni che pago non girano perché c’è un altro baco.
Mi prendo qualche giorno.
Quelli che settembre mi aveva promesso, che gli ho tirato fuori io, dalle pupille azzurre di qualche cielo che lui forse non sapeva, io sì: Settembre, te la ricordi, la promessa che ti ho messo addosso? Dì, lo sai che adesso devo seminare di nuovo? Prendo quei quattro chicchi che Isabelle aveva lasciato fuori da una domenica in fattoria quando il sole era ancora padrone dei mesi, quei chicchi di mais, che dici, van bene? Li pianto dove non so, ma tanto nemmeno tu sapevi. Nemmeno io. Gliela chiedo a Natale. Quell’Occasione che tu ti sei tenuto chiuso nelle tasche, così ben nascosta che poi te ne sei andato e ti sei dimenticato di darmela. Buffone. Mai fidarsi di te. Lo sapevo.
Mi prendo qualche giorno.
Esco diritta, nobile, tra i miei “porcavacca” e i “che figo”, come si conviene, come mi è proprio.
Vado fuori di qui. Per un attimo. Forse mi capita la vita vera. Forse: non hai prospettive, senza un punto di fuga.
Pensieri rotondi
Commenti 2
Non c’è sempre il sole.
Non c’è uno spazio dove puoi davvero smadonnare. Non è permesso. Lo si fa da sole, in bagno o al buio quando asciughi le lacrime e poi riaccendi la luce perché i bimbi non vedano quanto la vita ti fa male.
Non lo scrivi su Facebook, vuoi che tutti sappiano i fatti tuoi e ti giudichino?
Non lo scrivi sul blog, come dici tu, per preservare il lettore.
Viviamo in un mondo social, dove tutti vogliono sapere tutto di tutti.
Eppure siamo così soli…
Come sempre cogli nel segno.
E prenditi il tempo che ti serve.
Io ti aspetto!
Author
Sei sempre dolce e “materna” Silvia! Be’, staccare a volte è anche un po’ un segno di protesta, una specie di sciopero. Agli altri non cambia nulla, ma a me fa prendere fiato. Un bacio!