TRE ETERNI PUNTINI DI SOSPENSIONE
Ci sono valide, ottime ragioni per giocare con te, Isabelle. La prima è che così fugo i sensi di colpa. La seconda è che vedo il casino che fai e contengo danni peggiori e sorprese successivi. La terza, è evitare rimpianti futuri, quando di me non avrai più bisogno. La quarta, che vorrei figurasse, è che mi diverto un mondo.
Questi, invece, sono i piccoli ma non trascurabili limiti al gioco comunitario:
- La decisione: normalmente lascio che tu scelga il gioco da fare. Poi annego in improbabili fuori programmi nei quali lasci a metà dieci cose in contemporanea e io cerco invano un filo per partecipare in prima linea.
- La solitudine: hai deciso che devi fare il bagnetto alla bambola nel lavello della cucinetta in camera tua. Io l’asciugo, ok? No, mamma. Allora io ne prendo un’altra. No, mamma. Allora cucino qualcosa. No, mamma. Allora cosa faccio? Tu aspetti, mamma. Adesso ti do da mangiare, ecco. Poi ti faccio il caffè.
(Mi porta un piattino pieno di fornelli. Sì, estratti dal forno della cucinetta. Poi un bicchier d’acqua. E per un minuto sono partecipante attiva). - I tentativi. Adesso cosa faccio, Isabelle? Aspetti, che devo fare la spesa. Allora intanto ti guardo il bambino? No, il bambino deve venire con me. Ma io mi stufo. Allora ti do un libro.
(Mi porta un libricino della Pimpa).
Senti, ma perché non andiamo in cucina a fare un bel collage con tutti i pezzi che hai ritagliato prima, nel tuo entusiasmante impeto infantile, coronando l’intera stanza? Prendiamo un bel foglio e ce li attacchiamo su, facciamo una figura, che dici, bello, vero?
Sì, ma dopo. Prima devo fare la spesa. Tu resti qui. - La lingua. Qua e là confabula non si sa bene con chi in una lingua aspirata a metà fra l’arabo e il giapponese. Isabelle, che lingua parli? le chiedo seduta dove mi ha costretta, il culo su un cuscino, il cuscino sul culo del Barbapapà del tappeto. Inghese.
- Altri tentativi d’infiltraggio. Amore, ma non dovevi farmi il caffè? Sì, ma si deve cuocere. E prima devo fare la spesa.
- Il contrattacco. Amore, ho un’idea! (spingere cautamente l’eccitazione in modo che suoni realistica): perché non vado ad aspettarti di là (mentre faccio i cazzi miei) e quando hai fatto la spesa, lavato il bimbo, messo a nanna il bimbo, cucinato il caffè, me lo porti di là?
Sì, mamma, va bene. Ti chiamo e tu vieni. Adesso gioco da sola.
LA VITTORIA.
Vengo di qua, assolta. Pat pat. Sei già qui? È pronto il caffè?
No, mamma. Adesso facciamo il “collan”.
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