Dunque va all’incirca così: una sinusite ormai ricorrente mi asfalta da due notti. Alla terza stai ancora male ma soprattutto il naso fischia, che se m’ingoiavo un vigile era meglio. E ti ripeti “no non sento, no non sento” e invece quell’arbitro a doppia narice ti piglia – giustamente – per il naso, e più passano le ore più entri nel circolo burocratico dell’insonnia. Che meno dormi più hai paura di non dormire. E così guadagni anche questa patacca, ché a dirla tutta è un problema mai avuto. Dai, quand’è che ho sofferto d’insonnia? Cioè insonnia diretta, dico. Quella indiretta da figli che frantumano le ore notturne la conosciamo tutti. Ho dato.
Comunque. Due a scuola, Isabelle alla materna, ti diverti oggi hai il salone (che non è quello del mobile ma si rivelerà quello IMmobile), ciao ciao a dopo.
A casa lavoro assiduamente, l’orecchio teso verso il garden-no-garden della vicina dove, così ha detto, alle 11 avrebbe dovuto palesarsi il giardiniere a sfoltire le siepi (prato finto, infatti, ma piante vere). Mi ha avvisata gentilmente con un msg, guarda che viene, vuoi che tagli anche le tue? Bah, dopo vedo, semmai vedo, semmai esco.
A mezzogiorno non c’era una sega. E intendo proprio una sega. Lavoro ancora. Stendo miliardi di mutande approfittando del primo sole ma mi dimentico lo stendino in casa. Tra un panino e il solito slancio verso la materna ributto un occhio oltre la siepe: il giardiniere è arrivato, e sebbene in ciabatte (io, non illo), procedo con maglia del pigiama cautamente sommersa dalla giacca a vento che il clima ancora mi concede, per raggiungere costui. Salvo trovarne 4. Sti cazzi. Ne piglio uno a caso e gli chiedo un preventivo al volo per il taglio (eventuale) delle nostre.
– E semmai volessimo rifare il giardino?
E lì arriva il primo contropelo del giorno: – Può ricoprirlo, le costa…
– No, scusi, ricoprirlo de che?
– Tipo un piastrellato…
– Ma perché, scusi, è così irrecuperabile?
E insomma 700 euro se semina. Mille e rotti se ci piazza su il prato a zolle. Sai quelle zolle tipo Nuova Zelanda, verde Irlanda, anda qualcosa. Anda a cagher.
La seconda fermata a una gioia incalzante è all’ingresso dell’asilo, dove la ragazzina nera che di solito sorride d’un bianco lunare mi accoglie con 5 parole incomprensibili: – Dai – che – oggi – è – tardi.
L’orologio segna che mancano ben due minuti alla chiusura delle due, che in una finestra temporale di raccolta infanti di 15 minuti, rappresenta comunque un decorosissimo 14 %.
Arrivo alla classe, la maestra mi apostrofa uguale. Hanno distribuito la stessa frase a tutte, oggi.
– Hanno già suonato la campana.
– Non sono in ritardo io, sono loro a suonare in anticipo. (E sulle campane avrei molto da dire, ma rimando).
– Eh ma alle due tu devi esser già fuori.
Eh ma se non mi trattieni per queste cantilene, sto già fuori da un pezzo.
Isabelle si fa trascinare malamente, forse ha visto che mi sto un po’ alterando, amore che c’è, dai su che qui ci fanno il mazzo. Scarpe, giacca, chiudi l’armadietto, scatta, tirale la manica, vieni, andiamo. Fuori: ore 14.00. (Vedi? Ci vorrebbe il fotofinish del Mammavelox).
– Non mi hanno fatto andare in salone – mugugna. Dice che non si è divertita.
Terzo contropelo. Né in giardino né in salone.
La passo nel parco giochi tipo risciacquo quando hai messo troppo sapone. Vedi che ti torna limpida come prima. Dopo sei minuti trovo 3 chiamate: due da scuola, una di Mathias. Richiamo ma ho finito il credito, allora ingenuamente chiamo con whatsapp: che è gratis, no? Perché ti sfugge l’evidenza che la gratuità in verità la paghi come rete. E mentre non-chiamo arriva una scritta verde “rispondi”, e che devo rispondere, se sto chiamando io?
E dunque va all’incirca così: che Patrick è malato, perciò me lo carico, lo porto a casa, nego l’altalena a Isabelle, i quattro delle siepi hanno iniziato adesso a fare il lavoro pesante, credo risucchino foglie come nemmeno gli spurghi. La chiesa suona l’ennesimo funerale, Patrick sbauscia sul cuscino, Isabelle mi rivendica per il sonnellino.