È un grande guaio, stare sempre sotto i riflettori.
Nessuno lo dice, ve lo dico io: a volte mi prendo una vostra cazzata, una qualunque, e mi ci scaglio addosso.
Siete la porta da sbattere quando qualcosa s’impunta, siete il mio pretesto per un capriccio.
Solo che non lo sapete. Che anche i genitori hanno i loro alti e bassi, che anche loro s’inceppano.
E loro non sanno sapere, non sempre, di essere lì in alto dove tutto si vede, e così grandi che anche i loro errori sono evidenti. Ma anche grandi abbastanza che quegli stessi errori poi si perdono come sassetti in un lago sereno.
Avete una capacità di ripresa, che è solo vostra. Una venerazione che ci salva sempre il sedere, alla fine. Che tanto poi basta dire scusa, scusa è il cerotto dei grandi.
Ne approfittiamo senza accorgercene. Non siamo cattivi, siamo solo imbruttiti dalla nostra stessa umanità, siamo un’imperfezione che deve reggere ai nostri sensi di colpa.
A volte vorrei scendere sotto, sedermi in platea.
Oppure sbirciare dietro le quinte, due passi ingoiata da grandi drappi scuri, e poi via.
Fuori c’è un grande prato, è appena piovuto, vi siete messi a chiacchierare tra voi e nessuno s’è accorto. Vado a stendere le gambe e poi sputo fuori quello che viene, insieme al chewing gum, faccio la ragazzaccia. Strimpello emozioni coi fili d’erba e poi sbuffo nelle nuvole. Senza la museruola del ruolo, il coraggio di me mi spinge fuori in un salto, che è come buttarsi da un cavalcavia.
Perché non lo ricordo più, com’era: poter essere senza il riserbo di filtrare perché a voi arrivi solo il meglio. Perché non vediate quanto casino c’è dietro il palco, perché
le emozioni sono attori che non imparano mai la parte. E se le camuffi tanto i bambini là in sala le sgamano subito.
È un bel guaio stare sempre là sopra, dare l’esempio, senza il lusso di un suggeritore. Separare sforzi da falsità, selezionare cosa posso darvi, delle mie piccole toppe, senza che siate voi il rammendo. E cosa cucire di nascosto. E poi serbare sotto al mantello.
Perché meritate un ottimo spettacolo, e poi salire sopra, stringere mani e applaudire.
Commenti 4
Che bel post. Non so te, ma il mio pubblico è molto esigente. Era molto più facile quando suonavo, tutto era preparato e gli applausi arrivavano. Il genitore deve sempre improvvisare, perchè il pubblico è in continua evoluzione ed avaro di applausi (però in privato qualche complimento arriva).
L’ultima frase mi ha ricordato un fatto molto divertente avvenuto tanti anni fa. Una mamma alla figlia di tre anni che voleva stare in palestra scalza come mia figlia “no non puoi, mettiti i calzini, ognuno ha la mamma che si merita!”
Un caro saluto
Lorenzo
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Ti avevo risposto e non mi spiego dove-come-perché il commento non c’è. Davvero suonavi? Non suoni più? Il pubblico è esigente ma anche tanto innamorato, e hai ragione, anche io trovo che la cosa difficile sia il cambiamento continuo. Ma la frase finale era detta per ridere, vero?
E’ si suonavo, e non suono più il tempo è tiranno e le mani hanno bisogno di tanto tempo per tenerle allenate. In merito alla frase finale, mia moglie se lo sta chiedendo ancora (se era per ridere), ma conoscendo la mamma che l’ha detta……fai conto che dopo non si poteva più stare scalzi….. Comunque certe frasi è meglio prenderle sul ridere altrimenti ti fanno solo girare le…..
Un caro saluto
Lorenzo
Author
Concordo! Vedi, nella nostra ingenua positività, abbiamo tutti sperato scherzasse. A presto!