SOTTO LA PIOGGIA CHE INVECE È UN APPLAUSO
I bambini erano contenti perché avremmo preso il metrò. Io sento il valore, più che il cerimoniale. Non l’ho pensata come questa grande cosa, mio cugino non è uno da giacca e cravatta, poi farà questo rinfresco in un parco semplice e nudo dalle nostre parti, sotto l’acqua prevista dai meteorologi. Lei è già la madre delle loro due figlie, vivono insieme da quanto? Ne parliamo lungo la banchina, Mathias si è infilato una camicia casual, io ho i jeans e gli stivali invernali, la giacca abbottonata, chiusa perfino da una cintura. Sarah ha voluto il vezzo di una gonnellina sui leggings, poi c’è lo scoppio simpatico di scarpe da ginnastica fucsia.
Ho un piccolo brivido, perché un matrimonio è comunque un matrimonio. Sei cresciuta con l’idea della sua solennità, poi ne hai assaggiato il valore nei veli delle altre, a volte l’invidia, finché sei stata tu, quella sotto l’organza. Penso ai parenti, a chi incontro, mi dico vado a farmi un bagno d’amore, ché in fondo anche se poi ci si conosce e ci si ignora, dentro le nuvole generazionali una qualche scorta di baci e di come stai sinceri te la fai sempre.
Però mi stempero anche, mi lascio dissetare da questa ebollizione dei figli, dal sabato in centro.
Isabelle l’abbiamo ingessata in una calzamaglia troppo corta, che ha un foro dove non dovrebbe, a furia di tirarla. Siede la sua bambola accanto a lei nel vagone, ha deciso prima che voleva un sedile vero, che stare in braccio a me non era altrettanto valido, poi che la sua bambola si chiama Giovanna, e adesso quella ciondola nuda e cade a ogni fermata. Quando Mathias appende l’ombrello alla barra in alto, la dimentica per attaccarsi al punteruolo, in piedi, e così ha il suo modo di ergere i suoi quasi-cento centimetri, attaccata ai sostegni come ogni altro buon viaggiatore. Il resto del tempo lo passa cantando, rispondendo alla signora alla mia destra, e leccando il finestrino, con gaudio sommo di sua madre.
La prima festa è sbucare sul sagrato del Duomo. Lei che esclama che belloooo! Io che le cerco gli occhi, e ci metto un attimo a capire. Che il Duomo lei non l’ha mai visto in età cosciente. Siamo proprio dei periferici, abitanti di viottoli e piccole corti di panni stesi. Ha un buon sapore, tornare in città, con loro, come turisti, vederli vedere, la gente che è sempre enormemente troppa per quello cui sono abituata, la donna sospesa d’oro vestita che Sarah chiede come fa, il suo cappellino che raccoglie altri metalli. E poi negli archi di Palazzo Reale arriviamo alla nostra, di folla. Puntuali da dover aspettare.
Saluto i primi che ho sotto tiro, osservo vestiti di chi ha preso l’intera faccenda con un rigore maggiore. La corona circolare dei parenti e degli invitati, tutta quella zona incerta di persone che non sai se. Andare o no, salutare o meno. Ci becco uno dei bellocci d’un tempo. Uno delle medie, non era in classe con me, probabilmente con mio cugino. Io riconosco lui, lui non vede me. Un po’ di tutto, quello con i jeans a mezzo polpaccio stretti come una benda elastica, e un borsello che gli spero in prestito da una donna che non vedo. Uomini vestiti quasi da donna e donne vestite quasi da uomini. Un bel po’ di bambini di tutte le taglie, e tutti gli sguardi.
È lì che cominci a sentire l’eco, il grande, in questo addensamento. Vedo lui, elegantissimo, lei in abito bianco e quell’imbarazzo prezioso in due laghi di occhi che non trattengono, le bambine vestite uguali, nelle frange di chi esce dal matrimonio precedente, ci infiliamo noi. Accanto a un uomo che è un piccolo sparo di solitudine, che vede da un occhio solo, alla sua sedia a rotelle da cui insulta – qualcuno dice – la nostra festa come un oltraggio alla sua miseria.
La sala è bellissima, ripetuta da grandi specchi ai lati, già piena. Di volti accesi e mani che vibrano. Di zie già sedute e bimbi in braccio ai padri. Io ho due figlie in mano, le gambe accavallate in quei jeans improvvisamente inopportuni, e un piccolo sussulto in gola. Sorrido alla donna che li sposa, il suo cappello eccentrico e la sua lieve follia ci alleggeriscono senza espugnarci. E sono sposi.
Un breve silenzio sospeso. Poi, il clamore.
Usciamo sollevati da quella lieve impazienza di cui eravamo ignari. L’uomo l’hanno portato via, è ancora solo, sempre uno sparo, sempre a gridare cosa. Con lui tre gendarmi, la carrozzella gliel’hanno tolta di sotto il sedere. Per un po’ è quello, che tutti guardiamo, prima di disseminarci, di nuovo, sul ciottolato dove qualcuno apre i primi ombrelli. E poi, nelle vene del metrò.
Prima di ritrovarci fuori città, i bagagliai spalancati su invitati e stivali nel parcheggio: la pioggia ci aspetta ridente o strafottente, nel parco che non è nudo affatto, è un altro stupore. Alti platani e grandi spazi ridenti, gazebo moltiplicati dalla previdenza di alcuni, calici già alle bocche, tavoli di focacce che già saziano i figli. Due altalene di assi su gomme da ruota, dove danzano a turno i bambini.
E quei tre (l’uno di prima più due) ex compagni di scuola: dei tempi che io ero una fanciulla impacciata in mezzo a molte già donne. Che a me non mi si dava un penny. Sarebbe da andare e dirgli ciao per nome. Per il solo gusto di vederli impacciati. Invece rimango sotto il solo tetto solido, ai bordi, come piace a me. Mentre qualcuno cita l’immancabile sposa-bagnata-sposa-fortunata guardo i riassunti di invitati sotto ai tendoni, dispiaciuta per questo maltempo, felice per gli sposi, per questo chiasso della pioggia che invece sembra un applauso. Che anche i bambini brindano: riempiendo calici da una pozzanghera.
Commenti 8
Ma che bello! Mi hai fatto venire voglia di sposarmi 😉, vorrei tutti gli invitati fossero in jeans. E il duomo poi, anche io da periferica quale ero, ogni volta che salivo quei gradini e me lo trovavo davanti, mi si spezzava il fiato. Poi puntuale l’immancabile: “tu vuoi bracciale te lo regalo!” Che spezzava l’incanto 😂😂. Un abbraccio
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Ah… non sei sposata? Bisogna farlo almeno una volta nella vita 😉 Con bimbi al seguito non toglie nulla, ha un suo bello! E quella del bracciale mi fa ridere, hai ragione, non ne esci esente! Baci zen…
Ho sempre detto mi sarei sposata quando J fosse stato in grado di capire. Commento ironico di mio padre: a 18 anni? 😂. Poi la pigrizia dell’organizzazione ci ha fatto passare la voglia, e quando ci viene la voglia sembra che ci siano sempre cose più importanti a cui pensare. L’anno prossimo, forse, chissà…
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L’anno prossimo starai aspettando il secondo. Figlio, non marito 😉 Be’, sappi che il matrimonio cambia tutto. Non è vero che basta l’amore. L’amore, quando gli dai un segno, un tributo in un rito, diventa un punto esclamativo.
Hai ragionissima, e poi vogliamo metterci l’interesse fiscale visto che non lavoro? Ahahah altro che amore! 😂. Basterebbe andare in comune e fare due firme, e per pranzo un panino. Così non ho il problema di organizzare. Ma sono una inguaribile romantica, infondo.
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Appunto… E resta fedele al tuo romanticismo, perché un panino ti creerebbe molti rimorsi. Vale la pena commuoversi. Dimmi quando ti sposi che vengo giù 😉
Anche questo capitolo di un libro: la tua vita solo nel racconto di un giorno particolare. Che bello avere l’occasione di leggerti. Mi fa bene per mille motivi. Ultima nota siete pigri mi pare d’aver capito: dovete uscire più spesso in città e partecipare a più eventi e manifestazioni per bambini. Beati voi ad un passo di Milano e 3 da Roma ci sarebbe da uscire spesso..soprattutto per i bambini. Crescono di esperienze.
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Ciao, chi sei? Anna? Non ho mai pensato che siamo pigri… da Roma sono un po’ più di tre passi. Comunque sono una che in effetti non ama i programmi, preferisco alzarci e decidere al momento (anche di non fare niente che non sia semplicemente stare tutti insieme nelle cose comuni). Ogni tanto facciamo qualche gita (safari, parchi fuori porta…) se no godiamo del circondario. In centro, come giustamente hai letto, andiamo pochissimo! O, meglio, non eravamo più stati in piazza Duomo con la piccola. In compenso quando viene mia suocera Patrick si fa tutta la città con lei 😀