COL TEMPO HO IMPARATO LA DISTRAZIONE DELLE MADRI
“Che c’è, Sarah?”, lanciato così, come un ossetto al cane. Lei resta di là, non insegue i miei passi in cucina né la voce. I bambini lo sanno quando non chiedi.
Non voglio buttarci così, dentro una frase orfana. È che a volte m’accorgo, serve uno spillo, puntare qualcosa, un punto, esserci. Anche se pensi a cose tue. Senza grandi pretese, basta uno squillo, come il ragazzo delle pizze alle case come la nostra, il citofono rotto. E allora sai che è lì. Meglio di niente, penso. Mi ricordo di lei mentre seguo la direttrice, la linea immaginaria e sacra di qualche faccenda.
Col tempo ho imparato la distrazione delle madri. Quel rovesciare le stoviglie nella lavapiatti che aveva mia mamma: sciacquava coi suoi guanti gialli oppure rosa che s’inseguivano a furia di dita ferite dai coltelli, poi si chinava a sinistra, allungava un braccio, i bicchieri di sopra le pentole di sotto. A mano quelle antiaderenti. I capelli obbedivano ai gesti: legati in quel codino col fermaglio in tartaruga oppure cadevano dietro alle azioni. Io la raggiungevo, mi appostavo al di qua di quel ponte levatoio d’acciaio carico di storie.
“Sono stata brava oggi, mamma?”
Chissà perché mi urgeva tanto chiederlo.
Il bello è che non ricordo la risposta.
“Oggi sì. Abbastanza.”
Abbastanza è la cosa che mi pare di rammentare meglio.
Stavo lì ancora un po’, davanti alle sue parole che non scomodavano gli occhi né scavalcavano il fossato.
Questo ricordo: quel suo perseverare. I piatti da riordinare. La scopa al mattino. La pentola con l’acqua che bolle. La tovaglia a quadri. Le sue risposte a metà mentre serviva a tavola. Mentre si allontana nel corridoio.
Diciamo una valanga di “dimmi” prima di spostarci perfino di stanza.
E loro se ne accorgono. Se ne accorgono, i bambini, che vuoi infilare il minuto dedicato a loro dentro a qualcosa da fare in parallelo. Che sono come lavorare a maglia davanti a una serie tv. Fare le parole crociate al cesso.
E allora sai che faccio?
Torno di là. Le vado a chiedere Che c’è, Sarah?
E mi pianto davanti, le accarezzo la schiena e le dita. E non mi muovo finché so che quello è il mio posto.
Commenti 10
ecco, vedi, so che non lo fai intenzionalmente, ma, spesso con le tue parole, riesci ad infilarti nel mio quotidiano, a scovare qualcosa nel mio intimo e allora il cuore si gonfia. un abbraccio 🙂
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Scommetto che con la tua sensibilità le distrazioni non avranno mai la meglio, e hai sempre uno spazio per i tuoi figli: d’altronde un cuore così gonfio ha posto per tutto, son certa. Aspetto un tuo post, cara :*
E scommetti rischiando di brutto, cara 🙁 .Ultimamente ho la testa così intasata di pensieri che spesso la mia sensibilità serve solo a ricordarmi quanto sia grande a volte la mia distrazione. Però ho imparato a perdonarmi e a farmi perdonare! Così succede che torno indietro e mi pianto lì, fino a che non capisco che è quello il mio posto! 😉 per il post avrei bisogno di un altro po’ di distrazione 🙂 ahahaah ciao Maddalena
Quante verità in queste parole. Rendersi conto che loro hanno bisogno di essere realmente ascoltati è già una grandissima cosa, che permette di sforzarsi farlo davvero 💛
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Ciao Marta, alla fine non è forse così anche per gli adulti? Anche quando parlo con mio marito, o lui con me, è abbastanza fastidioso accorgersi che si stanno facendo altre dieci cose in parallelo e che le parole restano inascoltate. Grazie per la tua visita!
quante volte mi capita e quante volte lascia l’amaro perché quando torno indietro è troppo tardi…
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Credo che non sia mai troppo tardi. Non per loro: ai bambini basta… quello che poi gli dai, quando ci sei, quando torni, quando sanno. Solo per noi è un po’ tardi perché ci sentiamo in colpa.
Dovrei farlo anche io, molto, molto di più!
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Mi sa che è inevitabile qualche “assenza”… è anche il brutto delle abitudini, i figli sono sempre lì, a volte ci incantiamo a osservarli, altre siamo nei nostri pensieri e non ci accorgiamo…
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