SE C’HO DAVANTI UN CESSO, C’HO DAVANTI UN MEDICO. SE IL MEDICO È CARINO: HO DAVANTI UN UOMO
Quindi alla fine sono andata privatamente.
– Ma no, un infettivologo lo trovi dove vuoi: Niguarda, San Raffaele, Sacco.
Insomma a più di 10 chilometri e 100 minuti di strada da casa. Se il tempo è denaro, e per andare col SSN investi ore in telefonate, mesi in attesa e giorni per la migrazione, dopo aver speso ore in telefonate risparmio sugli altri due.
Il numero sette della via è divorato dalle impalcature. C’è il 3 e poi il 9. A guardar bene, sul buco in corrispondenza dei numeri omessi, c’è un’indicazione sul 5. Ma il 7 continua a non rispondere all’appello. Vedi che proprio questo doveva mancare. La prenotazione è stata un attimo, un sito, un click, fantascienza per un’amante del face to face, e maniacale delle conferme. Adesso che cazzo faccio, non ho nemmeno un recapito telefonico: mi sale il rigurgito della diffidenza.
E poi a guardar meglio, solca e risolca la soglia, a sinistra c’è un’indicazione: “Per il civico 7 andare a destra.”
Il cancellino è aperto, la guardiola no. Salgo. Dal pianerottolo agghindato di discutibili nudi d’arte arrivano echi di un optometrista. È da lì che esce l’unica traccia di vita. Busso alla guardiola, ma benché manchi mezzora alla chiusura dichiarata su un cartoncino affisso e una bottiglia d’acqua sul banco all’interno denunci una qualche forma primitiva di umanità, non ho alcun cenno.
Sono sola in un palazzo impacchettato dalle impalcature, oltre l’orario dei muratori, accanto a nudi che mi destano invidia, senza una timida indicazione sui piani e con quella voglia di cantare che ogni buon androne mi procura per via della risonanza promettente.
Sono così cretina da mettermi a salire le scale. Del tipo prima o poi trovo lo studio, basta fare sette piani. Forse anche dieci. Ma già al primo mi sovviene l’esistenza di quel dispositivo di cui, sprovvisti da anni, noi ormai non ci avvaliamo mai: il citofono.
Ed è lì, davanti a una pulsantiera, che tutto si dispiega.
Arrivo al secondo piano già pezzata, chi mi apre è un folletto, chiedo del Dottor Ics.
– Sono io.
Carino, giovane, sorridente. Nano.
Gli allungo la mia mano palmata dal sudore. Fortuna non ci si bacia, ché la mia lingua è infeltrita dall’arsura.
Mi siedo.
Quando mi siedo davanti a un medico nuovo c’è sempre quel piccolo tempo nel quale mi chiedo: attacco, o aspetto che mi dica “mi dica”?
Invece oggi, accanto a questo pensiero lecito, s’infiltrano connazionali subdoli, in effetti più simili a un monito:
- Te l’avevo detto: e tu mettila, ‘na riga d’eyeliner.
- Che mutande abbiamo, oggi?
- Non flirtare. Tu non te ne accorgi, ma stai già flirtando.
Perché, per istinto alla conservazione della mia dignità, se c’ho davanti un cesso, c’ho davanti un medico. Se il medico è carino: ho davanti un uomo. E quindi io non sono una paziente: sono una donna. Con le mutande sbagliate.
Mi avvalgo della mia nota spontaneità e sopperisco alle mancanze con una nota rozzo ironica, malamente convinta che un “cazzo” ben assestato possa levarmi dieci anni. Quand’anche non basta, insisto con gli occhi su quella capigliatura tutta in avanti montata come nemmeno l’erba artificiale di Leroy Merlin. Il che ripristina subito una sorta di parità tra noi, laddove il mio unico vantaggio (la statura) è stato seppellito sedendoci.
E abbiamo fatto.
Una visita che tocca il fondo non certo nell’alzarmi la maglia, ma nel chiedermi di coricarmi giustamente levando i sabot.
– Guardi che puzzano. Ma puzzano proprio.
E cosa volevi che ti rispondesse, allora no signora per i piedi che puzzano sono 50 euro in più?
Ma io sono così:
una volta detta la cosa, non mi riguarda più. Ora la sai, non sono più responsabile.
Prescrive un po’ di esami, prova un bancomat che non va. Prende il mio assegno. Io prendo tre caramelle per i figli dal vaso. Mentre è distratto con la marca da bollo per la fattura ne arraffo altre due.
Scendo all’ingresso, canto nell’androne. Torno a casa. Apro il referto. Così: che mica lo apri quando sei lì, altrimenti sembra che controlli.
“In anamnesi poliallergie”: ?
“Cheratite virale”: ?
“Nega viaggi in aree tropicali.
Lavora presso industria di suini ma nega contatto con animali. Cane domestico.”
Vivo con 3 bambini, in effetti, e un marito domestico. E improvvisamente mi perdono la lingua di feltro, i piedi sottaceto e pure gli stagni ascellari.
Prosit!
Commenti 3
Scusa, non ho capito: ha pensato che lavorassi con i maiali per ciò che hai detto dei piedi?!?
Author
No, deve aver compilato il mio referto sovrascrivendo un referto di un altro paziente! Ma così distrattamente che, dopo le prime righe giuste, c’è tutto un paragrafo assurdo, evidentemente non l’ha cancellato bene. E posso anche dirti con un buon margine di sicurezza che il paziente di cui ha usato il modello di documento… lavora presso un’industria di maiali. 😀
Ah ah ah !!!!