LA NEVE È UNA FOLLIA BIANCA
Ieri alle cinque avevano già messo il sale.
Sarah mi dice che le commesse sono state fuori per un quarto d’ora, a cospargere il vialetto: “Perché domani nevica”. E così all’uscita da scuola quella straducola pareva già bianca.
Passiamo le ore a scrutare, allora nevica? – No –. Dovrebbe attaccare già in queste ore. Ma la signora si prende il suo tempo, la sera mangia il giorno, e il pitosforo, qui fuori, restava verde con le sue disobbedienze giallognole, foglie rimaste con l’ittero dell’autunno. Anche l’ombrello écru rimane saldo e nudo con le sue ossa bianche, come un aquilone disegnato sulla carta.
Finché i bambini dormono, e a furia di controllare dalla portafinestra arriva il suo tributo: non l’abbiamo nemmeno vista scendere, il cielo è fermo, ha fatto tutto di nascosto.
I figli non sanno, nemmeno io so, che poi avrò una promessa da mantenere, una di quelle che sai cosa e non sai quando.
La neve è oggi.
Solo quando il prato qui fuori è bianco, dalle persiane sbucano bagliori: al mattino riconosco la luce furba dei riflessi, faccio il mio giro di perlustrazione, zero gradi, buona tenuta, il cielo sembra che sbatte i panni, scende qualcosa di così sottile che non sai se la vedi, la neve, o la stai solo immaginando. Va bene, ché così un po’ la vedono anche loro quando si svegliano, quando andranno a scuola. Ieri per scherzo gli avevo detto vi sveglio, se nevica di notte vi sveglio e domani state a casa per recuperare il sonno.
Mi faccio il caffè, ci penso. Penso che a settembre era uno dei primi giorni di scuola, e gliel’avevo promesso subito: “Quest’anno se nevica vi tengo a casa. Ma se nevica bene, sul serio.” Perché un evento è un evento, perché s’impara l’ordinario anche nello straordinario, perché
la vita è anche disobbedire alle regole. O, forse, obbedire alle sorprese.
“Dovrei tenere i bambini a casa.”
Guardiamo fuori, se basta, se la neve è quella promessa. Sono due dita che non varranno a un pupazzo, Mathias dice che Sarah non vorrà uscire, si attaccherà alle sue resistenze. Però intanto cerchiamo se hanno stivali. I miei figli viaggiano a scarpe da ginnastica da ottobre a maggio, poi da giugno si sfoggiano i sandali. Lui mi arriva con un paio di stivali coi gufi, che Sarah metteva un anno fa e che non so se ci entra. Patrick gli recuperiamo quelle da trekking, Isabelle mi arrangio.
Il caffè si raffredda e non ho deciso, la scuola chiuderà già quattro giorni per le elezioni. Non posso tenerli proprio oggi… Isa ha il salone, il giovedì, le piace quando all’asilo vanno in salone. Ieri sera erano deliziosi, si erano mangiati non so quale magia, ogni lamento che di solito li infrange era un sussulto di risa o un gesto di cura. L’onda buona sarà già passata, mi vedo in quell’ideale che si spacca, loro che mi fanno dannare, io che me ne pento.
Ma la neve è oggi. Cosa puoi farci? Puoi mica guardarla da quelle finestre istituzionali. O da sola in questa cucina.
Le cose vengono come vengono, e la neve è adesso. Il resto non lo sai.
“Va bene. Non svegliarli.”
Mathias posa quelle galosce coi gufi. L’ora è passata e non svegliamo nessuno. Isabelle apprezzerà, o rimpiangerà il salone? È come fare un regalo, è il rischio buono. Domani scriverò le loro giustifiche sui diari: le maestre penseranno che per un po’ di neve mi spavento: invece – per un po’ di neve – mi stupisco.
Patrick appare appena ho fatto la mia scelta, dice che se lo sapeva restava a dormire. Nemmeno io lo sapevo, gli dico.
Commenti 3
Ecco. Ho fatto una cosa simile oggi, tornati a casa da scuola: li ho lasciati giocare fuori anche se si sono bagnati scarpe e pantaloni. Domani la mia scuola è chiusa per neve. La loro no. Ed ho pensato come te: staranno a casa da scuola assieme a me!
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Brava Silvia, fallo, sarà bellissimo. Loro sentiranno ancora di più che è speciale, non solo perché la neve lo è, ma perché un giorno “perso” di scuola aggiunge ancora qualcosa in più al valore del vostro tempo insieme.
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