LA NOSTALGIA NON È MAI PERDITA: NON MI MANCA QUELLO CHE ERI, PERCHÉ SEI QUELLO CHE SEI
Non saranno molte le volte che saprò ancora prenderti in braccio, e allora lasciati fare.
Enya suona Watermark e io ti inseguo in un lento. Piano. Come una danza gravidica.
Il tuo dente ballerino, anche lui, più veloce di questo ballo se n’è andato stamattina. A due settimane dal tuo sesto compleanno avrai un buco per ospitare cannucce e boccacce.
Non saranno molte le volte che ancora mi riuscirà. O che tu accetti. Voi bambini avete una mira incredibile nel rivendicare, quando noi grandi siamo persi nei nostri fottuti tavoli da gioco con la vita e rimbalziamo i biliardi dei non posso. E poi magari sgolate un lasciami! quando le mamme sono preda di sciocche nostalgie. Ma la nostalgia non è mai perdita: non mi manca quello che eri, perché sei quello che sei.
All’orecchio – Enya che ancora sussurra – bisbiglio anche io le mie note: «Sai, quel giorno che sei nata… Be’ volevo dirti che ogni giorno vivere con te è bello come allora».
Adesso il passo incespica nel dubbio che ti stufi, sento come tutto è un accordo, l’intimità d’un tempo era bisogno, ora è scelta e serve una libertà reciproca. Ti guardo e m’inganno che i tuoi occhi siano lucidi: capita, che ti emozioni e lo dici. Io non lo so, se farti vedere che quasi quasi un brivido di tempo scivola tra le ciglia.
Stai ancora qui. Dammi due passi, posa la testa sulla mia spalla. Sii quello che vuoi, dì tutti i no che devi dire. Non ne avrò timore: tanti te ne ho dati anche io e ancora molti te ne servirò.
Scappa, se sei stufa, non mi offendo.
Ma tu rimani. Col dentino che chissà dov’è finito. Coi tuoi anni che scappano nelle stagioni. In questa vertigine di ballare, che forse dovremmo fare più spesso. Ciondoli molle con le tue lunghe braccia da scimmietta.