SALENDO PENSAVO UNA SOLA COSA: GRAZIE
Conobbi San Bernardo un giorno che il cielo era incazzato. Il mare ruminava schiumando come la bocca d’un vecchio. C’era qualche surfista, tavole incerte su onde già piccole per loro, già grandi per me. Ero venuta a Bogliasco per quei tre giorni che a giugno mi dedicavo da ragazza: creme solari, costume e stuoia stavano ancora in valigia. Il cielo non ne voleva sapere.
Mi alzo, faccio colazione sotto il campanile che rimbomba i suoi tocchi di campana, il suo tempo. Perdo tempo. Dietro, verso l’appennino, un gregge cupo di nuvole. Dentro, in quella casa enorme per una sola persona, piastrelle fredde con le loro greche verde bottiglia, il dondolo, un pendolo che dorme. Buttai via tutto il giorno a fare nulla, a nulla volere. La sola uscita fu un supermercato. I soli viaggi furono in cucina per un altro caffè, poi in terrazzo, scrutare quel cielo come si tiene d’occhio il nemico.
La sera. La sera poi ti prende un guizzo: non puoi permettere che il brutto tempo ti tolga tutto. La sera fa meno paura, anche a chi è solo: i residui ciancicati del giorno smettono di mordere, tutto sommato il mare è ancora lì, tu sei ancora lì, le colline aspettano. Vai a vedere, ti butti fuori.
Attraversai il paese e presi una strada a caso, verso monte. Non ne sapevo niente. Non ero mai andata oltre la passeggiata mare, un salvagente da bambina, il panettiere per la focaccia. Salivo. E più salivo più le gambe iniziavano a correre, e non potevo fermarle. E adesso ero io il mare, la sua forza, quella che per tutto il giorno avevo trattenuto.
Sbucai in un piccolo borgo, un campetto da calcio appeso alla curva del tornante, quattro case colorate, una chiesetta. Avevo ancora fiato, ancora troppe forze per fermarmi. Presi il viottolo ripidissimo verso un’altra altura. Levai la felpa, la strada diventava sentiero, e io continuavo, veloce come una gazzella. Salendo pensavo una sola cosa: grazie. Grazie al mio malumore, grazie al cielo coperto, grazie a quello scazzo imperante. Grazie ad essi scoprivo un posto incantato: San Bernardo, prima, poi il santuario di Santa Croce. Arroccato su una collina che il mare, sotto, ci girava intorno coi primi luccichii dell’Aurelia e dei villaggi, delle navi e dei pescatori, come essere su un gigante buono che puccia i piedi in acqua. E mi sembrava che quel solo attimo valesse tutta la giornata.
Tornai spesso, tornai negli anni. Sempre di sera.
Mi piaceva lasciare indietro le frange del mondo, i ragazzetti sui motorini fuori dai bar e dalla focacceria, il tabaccaio sull’uscio a chiacchierare con un compaesano, le botteghe che chiudono. Gli aperitivi. Coppie di anziani passeggiano sul lungo mare nelle ore più miti, il chiasso delle spiagge si allontana, palloni corrono coi bambini sul sagrato della chiesa, i ciottoli fatti lucidi dal tempo e dai matrimoni. Salgo per i tornanti, il sole brucia sulla pelle arrossata dalla giornata, qualcuno passa in macchina, vuoi uno strappo? Io sono immersa nella musica che mi calco in testa con gli auricolari, nelle storie che m’invento. Bevo alla fontanella di San Bernardo, riprendo quella strada irta: una vecchia col grembiule chiacchiera su una sedia impagliata mentre il minestrone sobbolle, la porta aperta, mi guarda mescolata con gli aromi. Stupita che qualcuno salga di là a quest’ora.
Ho sempre amato quel genere di solitudine piena. Ricordo sempre quel giorno della mia scoperta. Anche adesso, anche oggi che è mattina, e saliamo tutti, e non vengo più qui da sola. Patrick un po’ fiaccato dalla tosse, Isabelle nello zaino sulle spalle di papà. Sarah per mano con me, andiamo su piano. Il santuario è pieno di turisti, ogni figlio si lamenta per qualcosa, lottiamo per una foto di famiglia. Però siamo noi, loro e quella ragazza che cercava la vita. Che è venuta ogni volta felice e ogni volta diversa, con un uomo, con un figlio in più.
– Certo che siamo venuti da fidanzati. Mi hai portato e hai detto: “Sei il primo uomo che porto che mi sta dietro.”
Ecco, quanti altri ne ho portati non voglio ricordare. Ma erano delle schiappe.
Commenti 4
Credo che ognuno abbia un posto speciale.
Bellissimo leggere del tuo.
Il mio? Un pozzo, un tempo semi sconosciuto, in un vicoletto della Verona medievale.
Poi è arrivato Moccia, sono arrivati i Lucchetti ed io mio posto speciale è diventato commerciale.
Ma a me piace ricordarlo com’era un tempo, in un angolino silenzioso della città. In marmo rosso e delizioso, quasi un enigma.
Si chiama “il pozzo degli amanti” ❤️
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Evidentemente è un posto proprio speciale… che altri hanno preso e reso (purtroppo) famoso. Dispiace, è un po’ come perdere un segreto. Ma immagino che ne avrai altri, io per esempio ne ho diversi, e poi è sempre bello trovarne di nuovi, quei luoghi che ti fanno breccia nel cuore così, a prima vista, e poi ti restano dentro.
Grandi! Ma quanto siete saliti? E quanto li hai fatti camminare i piccoli? Complimenti! E che vista!
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Non sei mai stata lì?? Se fai a piedi da Bogliasco (come facevo io DA RAGAZZA) è un’ora e mezzo, forse. Ma da San Bernardo a Santa Croce son tre quarti d’ora, Patrick camminava tossendo e Sarah bisogna un po’ motivarla perché si stufa. Isa deve star buona nello zaino se no non si arriva mai, ma ogni tanto vuole scendere! Siamo stati solo un weekend, e non lo farò più: è più viaggio e sbattimento che altro, poi a tornare c’erano code, il tutto per passare una giornata e mezzo aprendo e chiudendo casa, facendo spesa… non vale la pena, bisogna fare almeno un week end lungo!