Quaranta minuti per vestirmi. Avevo dimenticato questo aspetto della gravidanza.
Sarah raccatta una cintura dall’armadio: “Posso prendere il guin-haio (guinzaglio)”? Patrick acconsente a fare il cane.
È settembre, riprende la vita sociale: oggi la logopedia di Patrick, solito posto, solita gente. Avevo pensato di fare il mio “outing”.
Sono incinta a giorni (o ore) alterni, in questa fase: dipende dalle condizioni meteorismiche (ho detto “meteorismiche”, non “meteorologiche”). E così, le volte che avanzo timida le prime confessioni, quelle occasioni che ti si presentano su un piatto d’argento, che mentiresti a tacere, capita di raccogliere ancora il classico, primo-trimestrale “ma se non si vede niente?”
“Perché, scusa, tu sei stato concepito con uno spermatozoo di tre chili?”
Altre volte, all’affaccio sul secondo trimestre da poco avviato, una voce si accende: “Si vede già!”
Io penso al mio mostriciattolo, lungo 10 cm gambette escluse, al disegno che ho provato a farne per i bambini: non è così piccolo. È già molto, molto più grande dei Fiammiferini, quei mini-bambolotti con la tutina di feltro colorata che stavano in scatolette a scorrere, quando ero bambina. È chiaro che inizi a vedersi!
Però l’altro giorno – alla quinta puntata alle toilette – ammetto di essermi sorpresa ad allarmarmi: “Il bambino! Non c’è più il bambino!”
Nella tazza non era caduto, ma quella specie di circonvallazione colica che gira intorno all’utero come un’areola infelice, improvvisamente vuota lasciava cadere la pancia in una nuvoletta morbida che nemmeno a tastarla mi sembrava di trovarci più niente. L’utero, lasciato padrone del grembo, svelava ora le sue vere dimensioni: un bozzoletto che può ancora essere niente o già dire tutto. È alla madre che spetta la scelta.
Fluttuo.
Oggi la maglia premaman avanza. Quelle normali vestono male. La migliore è una di un’eleganza sproporzionata all’occasione.
La prima a saperlo non è la prima cui avrei scelto di dirlo: è solo capitato. Dal panettiere, finalmente riaperto dopo le ferie. Come sono cresciuti i bambini! Come state? Bene, ne sto facendo un altro.
Prove generali.
È una mamma dell’asilo, ci conosciamo di vista. È stupita, si congratula.
La panettiera non ha sentito, era occupata con un’altra cliente: “Come stanno?” sorride ai miei figli ipnotizzati dalle focaccine.
“Bene.” E questa volta taccio.
Ho sbagliato vestito. Lo sapevo. Mezz’ora sprecata. Questo taglia, va giù dritto, la pancia si vede solo contro vento. Non spira nemmeno una brezza leggera.
Forse il mondo tacerebbe comunque, anche avesse il sospetto. Forse dovrei dirlo e basta, per togliere me e gli altri dall’imbarazzo. Oppure indossare una di quelle T-shirt che ti levano dagli impicci: YES I’M PREGNANT.
Non mi ricordo più come ho fatto con gli altri due, forse me la menavo meno, forse a quarant’anni devi proteggere la tua immagine in decadenza giustificando quella pancetta improvvisa, ma mi sembra di tirarmela a doverlo sbandierare senza uno spunto evidente.
E così adesso, durante la terapia di Patrick, m’installo in corridoio, lontana dalla saletta d’attesa, dal vedo-non-vedo, dico-non-dico. Me la svigno.
Ho rimandato: al prossimo vestito.
Outing e outfit: due questioni delicate, due difficoltà superabili solo con il giusto sodalizio.