E CERTO, PERCHÉ NON È MICA DETTO CHE LA PRIMA PAROLA SIA PER FORZA “MAMMA”…
Mi chiedo chi è che ha inventato la fiaba.
“C’era una volta una bimba, gli occhi colore del cielo, le labbra a forma di cuore, succose come le fragole a giugno, due braccia operose con le fossette ai gomiti, due piccoli piedi che zampettano allagando tutto di immacolata allegria. E la sua mamma restava a guardarla a mollo dell’incanto più sublime che mai si potesse immaginare. Si narra che, tanta era la sua bellezza, la piccola la osservava anelando a quel suo sguardo innamorato, e volendo somigliarle il più possibile cominciò a produrre dolci sillabe: “MA-MA”. Poi, con vigore crescente, saltellandole incontro, la M si riprodusse come per magia in un suono più forte. E lì fu il miracolo: “MAMMA”.
Il Battesimo di un amore già folle: la consacrazione di due vite destinate all’unione perfetta…”
Mi chiedo, poi, cosa abbia condotto tale fiaba a diventare cliché: forse che, alle “altre”, è andata davvero così?
Perché, per quanto mi riguarda, questa leggenda della prima parola che è istintivamente – guarda caso – “mamma”, per me è vera quanto gli occhi azzurri, l’allegria sempre immacolata, l’incanto perennemente sublime, e l’unione perfetta.
Posso accettare che il primo suono balbettato da Isabelle sia stato BA-BA, e che, via via, questo abbia assunto il vero scopo di nominare le cose, allargandosi dal significato originario di “bambola” (parola estremamente utile, lo riconosco) a “mamma”, “papà”, “oggetto di qualsiasi natura e provenienza”, nonché esternazione spontanea di gioia incontenibile.
Mi riesce già meno facile sorridere al suo orgoglio nel passare da BABA a PAPA’, cosa evidentemente prevedibile, vista la somiglianza tra le due espressioni.
Ancora più ostico è avvedermi che la piccola sa davvero quello che dice: “Isabelle, adesso arriva papà.”
Quella smonta dal mio abbraccio incurante di altezze, canicola e imprevisti oggetti sparsi lungo la traiettoria, e si dirige fulminea verso la porta: “Papà!”
Ultimamente le piace inserire il simpatico vocabolo in qualsiasi mini conversazione delle sue. Del tipo: “DA, BE, DUU, EEE. DL, BL, PA-PA.” Indicando punti invisibili che insegue concitata.
“Sì, Isabelle – l’assecondo – va bene. Però non c’è bisogno di infierire.”
Vale anche al telefono nelle frequenti simulazioni che accompagnano le sue giornate vivaci.
Qua e là, se concentrata, riesce quasi a ripetere “Sarah”, anche se si ferma all’incirca a una S chiaramente sibilante.
Mi riesce però incomprensibile perché un distorto fac-simile del mio nome le esca in stile lamento solo nelle occasioni infelici: “MUA-MUA” oppure “MUE-MUE” mentre cerca di abbattere la porta del bagno o m’insegue ai fornelli.
Ma il vero smacco me lo consegna con l’ultima, sua deliziosa scoperta: “Isabelle, stai facendo la cacca?”
Lei si indica il pannolino: ha capito. Ripete: “KA-KKA” (notare la A che vira quasi a O).
E, da allora, producendo il suo oro nero, si accovaccia con l’espressione che noi mamme riconosciamo al volo, e, credendo di dovermi spiegazioni, esclama con inconsueto godimento e fierezza: “KAKKA.”
Grazie, cara. Superata, nello sviluppo del linguaggio, da una parola che nella vita – convengo – le sarà davvero utile. Mi sento onorata.
Ps: se devi chiamarmi, a sto punto, va bene “papà”.
Commenti 3
🙂 mi lasci sempre con un sorriso sulle labbra :-*
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Ciao Micaela 🙂 Che bello sentirti! Qui si suda e si lavora sodo per far uscire quel dolce vocabolo che manca! 😉 Ce la farò… Un bacio
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