2
I beffardi

Ma quindi ti fermi a pranzo?

Lui arriva con un’ora e rotta di ritardo, il passo cadenzato dallo scazzo. Lo accolgo come è solito mio: “Ma non doveva essere qua un’ora fa, scusi?”
Permesso, venga, gli illustro il problema. Ha bisogno di uno straccio, di un secchio?
E allora lo riconosco.
È che l’altra volta erano in due, uno sfigato già dismesso dalla memoria per far posto a volti più esteticamente utili, e lui. Il naso un po’ lungo, i capelli corvini, gli occhi affilati: Verdi. Non posso scriverlo con la V minuscola.

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Altre Verità

L’uomo alla porta

– Carino – si porta il dito al naso, guarda il mio piercing. – … L’orecchino. Peccato che è al naso.
Taccio.
– Sono tornato.

Non dice salve, buongiorno, sono tizio. Forse si chiama “Tornato”.
Non l’ho mai visto. Dice di essere già stato qui, vorrei correggerlo, lascio stare. Mi allunga un foglietto, lui nei suoi quaranta centimetri quadrati oltre lo zerbino, io di qua, le ciabatte da massaia sul gradino della soglia