MA SE FARE LA MAMMA È IL LAVORO PIÙ DIFFICILE AL MONDO, COM’È CHE FARE LA BABY-SITTER È LA COSA PIÙ FACILE E SCONTATA?
“Baby-sitter”. Letteralmente: “(Quella) che fa sedere i bambini”.
Ero una studentessa universitaria, una signora della parrocchia mi affidò la sua piccola. L’andavo a prendere all’asilo, la portavo a casa (sua), dove, il più delle volte, secondo schemi imperscrutabili, stazionava il padre. Era impegnativo stare rintanata nella sola camera da letto, mentre quello faceva non si sa cosa in soggiorno. La postazione poco flessibile data dalle dimensioni ridotte di quel bilocale mi lasciava poco spazio di manovra, e certamente nessuna possibilità di fuga in un cazzeggio che a volte letteralmente agognavo. Perché, a dispetto del termine, tenere un bambino va ben oltre il farlo sedere.
Il suo gioco preferito era il lupo. Che poi sarei io. Dovevo fingermi inferocita, arrivare prima di soppiatto e poi simulare un attacco alla piccola preda. Sul più bello, proprio quando le stavo col fiato sul collo, tornavo in me, la dolce ragazza affettuosa, e la stringevo forte. Era questo, il gioco: farle paura per poi consolarla. I pedagogisti avrebbero di che discutere. Il punto è che la storia si ripeteva per minimo due ore di fila, in capo alle quali mi ripromettevo che la volta seguente mi sarei rifiutata di farlo ancora, avrei dirottato la piccola cappuccetto rosso su qualche altra attività, e fatto valere la mia autorevolezza. Ci provavo: “Giochiamo alle bambole?” Sistemiamo i pupazzi, inventiamo qualcosa, una merenda, la scuola.
“E adesso arriva il lupo!” squilla la deliziosa creatura.
Il sabato mattina era ancora peggio. Ingresso ore otto e mezzo, libertà (condizionata fino al successivo weekend) ore tredici.
Fui prossima a credere che non avrei mai più amato i bambini.
È anche vero che a quei tempi non c’erano le tecnologie, la tv stava in salotto, e io, ragazzina inesperta, non avevo le palle per impormi un pochino. Tanto che pochi anni più tardi ci ricascai, con un angioletto biondo cui insegnavo anche un po’ di inglese, una bimba di tre anni nota tra i miei conoscenti per due episodi memorabili: la pipì addosso nel bel mezzo di Via Marghera, e il gioco con Ken e la Barbie che “stanno facendo l’amore” (parole sue).
Vent’anni più tardi sono madre di tre bambini, e, questa volta, sono io a cercare una tata.
Mi accorgo che, vista dall’altra parte, la situazione appare drasticamente differente: chi non ha mai fatto la baby-sitter almeno una volta nella vita? È il classico lavoretto-non-lavoro per tirar su due soldi in nero. La sera ne prendi pure di più, e se c’hai culo i bambini dormono e tu ti svacchi davanti alla tv.
Ma se fare la mamma è il lavoro più difficile al mondo, com’è che fare la baby-sitter è la cosa più facile e scontata? Sempre bambini sono…
E difatti, ora che tocca a me, la lista dei requisiti cita: età non inferiore ai trenta, esperienza anche con neonati, nazionalità italiana, figli, vicinanza geografica, creatività, capacità di occuparsi di tre bambini contemporaneamente. Che mica ti mollo la santa prole alla prima ragazzetta di vent’anni, scherziamo?
Guardo la piccola Isabelle che ho occupato con un paio di cracker e penso che mi ci vorrà una certa dose di coraggio a lasciare quella cosetta paffuta in mani altrui. Mi metto in moto straripante comunque di fiducia.
Cado su un sito web fichissimo, cerca che cerca trovo che tra le opzioni c’è anche quella che chiamano “aiuto nei lavori domestici”, tra parentesi “leggeri”. Non so bene cosa significhi, ma non sarebbe bello? Mentre mi guarda i pargoli rassetta la casa, lava due cose, passa la polvere. Questo genere di Mary Poppins è definito più ampiamente “aiuto mamma.” Bingo! Basta trovarne una in zona.
Leggo almeno cinquanta profili (su iPad, visto che i figli hanno assediato il pc), nel raggio di cinque km massimo da casa mia. Scorro le descrizioni e scopro che: a- quasi nessuna ha esperienza coi neonati. b- il 99% si sa occupare di massimo due bambini contemporaneamente.
Mi faccio i complimenti (e le condoglianze) da sola: ora capisco perché sclero con tre.
Sanno fare di tutto: bricolage, pittura su ceramica, insegnare a cucinare ai bambini, canto, musica, giardinaggio. Hanno fatto stage, corsi estivi, campi scuola, volontariato in India, lavorato con disabili e ragazzi iperattivi, hanno referenze verificabili, sono automunite, amano anche gli animali (opzione, questa, nel mio caso assolutamente superflua). Ma – pare – non sanno cambiare un pannolino. E, men che meno, farsi in tre.
D’altro canto, solo dopo un paio di giorni di assidue ricerche mi avvedo che, anche a trovarla, per contattare la candidata ideale il sito mi chiede un esborso di 15 euro mensili, oppure 30 per un abbonamento di tre mesi. Logicamente si son guardati bene dal dirlo prima.
Alla fine, con cotanta tecnologia a nostra disposizione, il vecchio passaparola rimane l’arma migliore.
Mi resta solo da capire cosa intendo, io, per baby-sitter: la lascerei davvero soccombere come feci io ai tempi del lupo? Una baby-sitter è davvero pagata per far divertire a tutti i costi e a tempo pieno i bambini? Oppure è solo deputata a badare a loro e… metterli seduti?
Isabelle mette fine ai miei turbinii mentali, ha finito il cracker, anzi è quello ad esser finito, in briciole, su un raggio – anche lui – di cinque km. Aggancia i miei occhi e sillaba: “TA-TA”.
Appunto.