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Maternità

Tulipani e ranuncoli

“FIORI”, LE HO SUSSURRATO ALL’ORECCHIO MENTRE GLI ALTRI CHIUDEVANO LA PORTA USCENDO SUL GIARDINO. CI COMPRIAMO DEI FIORI, SARAH: IO A TE, TU A ME.

 

Potrebbe piovere. Per questo alla fine ho infilato quel piccolo ombrello in borsa. Lei sorride, ha visto che la mia borsa è gonfia come una pancia gravida. Deve starci dentro tutto: i farmaci che prenderemo in farmacia, che però mamma io non voglio andare solo in farmacia, il mio portafogli sgangherato pieno di spiccioli per i carrelli, i panettieri delle merende improvvisate coi fratelli, le chiavi col papero.

Deve starci dentro quello che sarà, oggi è una buona sera, un’ottima scusa, i maschi sono andati in bici, la sua è da sistemare, ci vuole un’offerta, una promessa per noi, oltre alla farmacia e a questa pioggia che sta per cedere. Sono usciti con la piccola al seguito, infilo le braghe, una giacca. Le prendo quello spolverino della sua vacanza in solitaria un anno fa: ti sta ancora. Adesso è per noi, la sua tempesta stellata, le mani che sbucano e si saldano alla mia.

“Fiori”, le ho sussurrato all’orecchio mentre gli altri chiudevano la porta uscendo sul giardino. Ci compriamo dei fiori, Sarah: io a te, tu a me.

Camminiamo senza la rima di un disagio, sono limpida, ci siamo trovate in inezie cristalline in questi giorni, la sua borsetta di Hello Kitty, la stessa di un altro appuntamento nostro che ricordo, le taglia la figura a metà, parallela alla mia tracolla. Estrae ripetutamente la sua cover scintillante: Tu lo sai cos’è una cover? mi ha domandato. Ho pensato alle canzoni, poi ho interpretato quel rettangolo di lego pieno di tasselli colorati: si è fatta una cover per un telefono che non ha. Ci ha messo l’intero pomeriggio. Sono più di cento, questi brillantini, non ci crede, le dico contali.

Sbrighiamo la farmacia, prima, la ragazza di colore mi suscita quella lieve antipatia di chi non scuce nulla, troppo composta nel manichino di un ruolo, Sarah mi ascolta provare: “Vedrai che prima che abbiamo finito sorriderà. Usciremo di qui col suo sorriso.” Le insegno questa mia voglia di stanare, che a qualcuno dà fastidio, perché cerco sempre la persona, anche in un camice, anche un sabato sera che quella magari ha solo voglia di una vestaglia, un paio di pantofole. Oppure sta calcolando i giorni fertili per sapere come gestire la sua serata romantica. O nulla di questo: perché certe persone sono e basta. Così.

Ma insomma l’ho spuntata, e veniamo via con una scatola di Fluimucil e quel sorriso bianchissimo come un baffo di latte nel caffè.

La rotonda del fiorista è un po’ più in là, la mia mano non perde la sua, la sua non sfugge la mia. Ci siamo fermate davanti all’orefice, abbiamo guardato collanine e ciondoli a cuore, lei ha scattato un paio di foto con il suo smartphone-cover di lego. Mi sono dovuta fermare anch’io, aiutarla nell’inquadratura. Sentendomi goffa, idiota: amando il mio sforzo di non sentirmi tale.

Siamo a pochi passi dal nostro omaggio floreale: “Tu lo sai cosa vuol dire disagio?”
“Hmm, no.”
“È quando sei un po’ in imbarazzo, un po’ timida. Ti vergogni. Tu lo sei, con me, adesso?”

Mi piace spiegare cose ai miei figli: per farlo devo semplificare, e la vita diventa più facile, posso impararla di nuovo anche io. Senza nessuna vergogna.

Dice un po’, le esce una vocina, immaginavo, perché hai la voce piccola piccola. Perché ha gli occhi come quei brillantini di lego, fermi e luccicanti, solo più veri. E mi piace anche, quest’emozione dell’insolito.

Scegliamo a fatica tra vasi di fiori che andrebbero piantati, e mazzi già spenti. Io i tulipani, lei ranuncoli fucsia e margherite grandi. Ci vuole un po’ per farglielo capire, a questo ragazzetto scuro, che sono due mazzi: “Sì, due bouquet, io ne regalo uno a lei, lei uno a me.” È incerto, va e viene, sorride mentre Sarah si è messa a contare davvero i tasselli di lego, le ho fatto il conto, sono 105. Solo che la distraggo mentre conta, dodici, quarantanove, sei, diciotto, settantadue. E lei ride. E poi ci diamo baci qua e là. E il fioraio sorride di nuovo, coi mazzi pronti per noi. E forse sembriamo buffe.

Io invece penso che siamo bellissime.

Qualcosa di nuovo?
Ti avviso io: a caso, quando capita, una vetrina degli ultimi post!

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Commenti 4

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  1. unamammazen

    Che bella giornata. Chissà se coi figli maschi si instaura stessa complicità. Mi fai un post in cui scrivi di no così convinco il mio compagno a far la femmina? 😊. La tua voglia di stanare è meravigliosa, io ci resto subito male,mi arrendo. Notte buona

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      Maddalena Capra Lebout

      Certo che devi fare la femmina. Claro. Ho complicità diverse, non solo perché di sesso diverso, ma per temperamento: con Patrick ci troviamo molto a ridere, sa che capisco le sue paure, abbiamo tratti simili del carattere. Ma che ti devo dire?… certe complicità è ovvio che puoi averle solo con la femminuccia, hai più cose da condividere. Anche perché – a dispetto di quanto si voglia affermare a tutti i costi – le femmine sono di natura vezzose e caratterizzate da certe inclinazioni. Insomma sono “femmine”, anche quando giocano con una macchinina (e comunque preferiscono giocare con trucchi e perline).

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