ADESSO È QUI ED È, DI NUOVO, UN PO’ MIA. PERCHÉ NON È DI NESSUNO
Devono aver avuto un figlio. Dalle foto non si vede. Non c’è il gomito di un lettino, un angolo di sbarre, un box. Ma devono aver avuto un bambino. Adesso cresce, la culla non ci sta più, là nell’angolo. Dove l’han messa, loro? Come noi, a ridosso di quel termosifone accanto alla grande finestra? La nostra ci stava. Quella gialla di mia madre, dove dormivo e piangevo io, appena nata. I merletti degli anni settanta che sfilano ai bordi.
Ce ne siamo andati quando Patrick aveva meno di due anni. E Sarah era di cinque mesi, nel mio corpo.
Ce ne siamo andati in fretta, non era così laborioso vuotare un bilocale. Fu più lungo preparare la nuova dimora, quei lavori in ritardo, il cantiere con le gru. Le gru Patrick le guardava ad ogni colazione, sbucavano dalle mattine di maggio come fusti. Dalla nuova cucina.
Ce ne siamo andati in fretta, eravamo già due giorni oltre il termine fissato per la consegna. Senza un saluto in più, senza esitazioni. Mi feci prendere dal nuovo, dalle promesse, la casa, la bimba che sarebbe nata.
Poi, mi è capitato di passarci accanto. Ogni tanto un occhio osa sui balconi, li spio dal parco giochi della piazza poco lontana. Vedo se è cambiato qualcosa, se la macchina del condizionatore è ancora lì, se hanno messo fiori sulle balaustre. Di che colore le tende. Il tempo di un sussulto non è mai arrivato.
Mi arriva adesso, breve, dopo sei anni. Che io cammino e la nebbia respira con noi. E su quella vetrina senza valore, tra molti, mi trova: la mia casa di prima.
Fermo i bambini che corrono già avanti. Aspettate!
Devono aver avuto un figlio, forse ne aspettano un secondo. Erano una giovane coppia. Li odiavo. Vennero a guardare come si guarda una ferita, con cura clinica. L’architetto con loro, valutare i rischi dell’acquisto, i vantaggi dell’immobile, se valeva i soldi, se era un affare. Fuori dagli affari di cuore. La casa, sotto le loro inquisizioni, era già una carcassa.
Non ho mai pensato a una casa come una casa. Il soffitto a travi di legno lo lasciammo nudo e ancora sporco di intonaco, come un neonato di vernice caseosa. Dipinsi due dei muri del soggiorno direttamente con le mani: quel giorno che mi dissero che avevo displasie medio-gravi al collo dell’utero. Mi ero presa il pomeriggio di permesso, e adesso non sapevo cosa farne. Non c’era ancora il riscaldamento, il freddo ce l’avevo in gola, una di quelle grotte con le stalattiti. Mathias mi portò nella casa nuova. Lasciami qui, gli dico. Provo con quel giallo zucca, imbevo stracci e li passo sulla parete. Non mi piace. E adesso sono tutta dentro quella grotta di punte.
Rimango immobile, delusa e offesa. Poi caccio le mani nel secchio, e inizio ad accarezzare il muro, il dorso mansueto della casa diventò vivo. Mi spostavo, tiravo dietro quell’unica stufetta color cammello. Guardavo, fuori, il mondo in basso da finestre senza tende, con i quadratini adesivi dei vetri nuovi. Quello è il giorno in cui cominciai ad amarla.
Adesso è qui, in mezzo ad altre storie.
La cucina è rimasta la stessa. Gli stessi mobili che andammo a cercare portandoci dietro un cassetto della credenza etnica con cui dovevano andare d’accordo. Le stesse ante, le stesse maniglie, i ripiani delle nostre tazze e dei nostri pasti. Delle scodelle di Patrick. Lo stesso parquet rigato dalle sue macchinine, pestato dai coperchi delle pentole.
Adesso è qui ed è, di nuovo, un po’ mia. Perché non è di nessuno.
I bambini sono tornati indietro, i loro riflessi s’incantano sulla vetrina.
– Possiamo vederla?? Io non ci sono mai stata!
Guardo Sarah e ci metto un attimo, perché la ragione si scansi.
– In verità sì!
Potrei chiamare l’agente. Fissare una visita. Potremmo vederla.
In verità: sì.
Commenti 9
Mio marito ed io abitiamo ancora nella stessa casa in cui siamo andati a convivere, l’abbiamo solo allargata un po’ qui e un po’ là. Con mia mamma, invece, ho cambiato diverse case. E anche con mio papà. Ogni volta che passo nei pressi di una di queste guardo incuriosita, sia quelle di cui conservo un ricordo non bellissimo, che quelle che mi sono rimaste nel cuore. Una la sogno addirittura. Sogno di infilarmi nelle scale del condominio e di andare a sbirciarci dentro.. è quella che ho amato di più.
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Grazie Marta, quindi hai abitato in molte case diverse? Io coi miei sempre nella stessa. Poi sono andata a vivere da sola, ma con mio marito abbiamo cominciato dal piccolo di questo bilocale e poi siamo venuti nella casa di adesso, appunto, e… siamo già stretti! Le case hanno dentro troppe storie per rimanere inerti quando passiamo… Un bacio!
Si, la mia è stata un’infanzia un po’ movimentata, ecco. Sono d’accordo, le storie e i ricordi rimangono tra le mura di ogni casa in cui si passa a viverci un po’.
Io sono ancora nella mia prima cosa con lui, quella che ci ha visto giovane coppia e poi diventazre genitori. ora il cantiere casa nuova comincia a farsi reale, a lasciar intravedere la fine e, se da una parte non vedo l’ora, dall’altra ogni tanto mi guardo intorno e mi prende la malinconia perchè, pur con tutti i suoi difetti, questi muri hanno osservato e partecipato a otto anni della nostra vita. Chissà come sarà, un domani, vederla! Come sempre, le tue parole parlano dritte al cuore!
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Quando traslochi? La casa è un po’ la nostra ossatura, dentro ci sta comunque un palpito. Grazie Giulia
Displasie medio-gravi all’utero? Sono curiosa, scusami se te lo chiedo così (magari puoi anche scrivermi in privato, sul blog ci sono i riferimenti). Il Fidanzato ha una displasia grave congenita bilaterale che ci fa patire da decenni (a me un pò meno, a lui da decenni), ma alle anche. Non avevo mai sentito parlare di displasia dell’utero.
A parte questo, casa mia io la sento come se fosse viva. Ogni cosa mi parla.
Si lo so, sembro ridicola ad usare queste parole, ma questo è.
L’ho amata a prima vista, ma è solo piano piano che mi sono resa conto che aveva un’anima. E’ difficile da spiegare.
Un bacio.
Author
Ciao cara, le displasie del collo dell’utero non hanno nulla a che vedere con quelle dell’anca 🙂 Si tratta di cellule anomale, precancerose. Si scoprono con il pap-test. Nel mio caso erano abbastanza severe ma è bastato trattarle per risolvere tutto. Certo è che sentire la parola “anomala” o “precancerosa” non è mai piacevole. Quanto alla casa, ci intessiamo nelle cose che ci circondano, chi più chi meno. Ti capisco benissimo!
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