Si è rifatta le sopracciglia. Le ha tatuate, a dire il vero. Spiccano sulla fronte ambrata come rondini nere. Non che mi riguardi, non siamo niente, Barbara e io. Due anime che hanno l’affaccio sullo stesso cortile. Che se una dice qualcosa all’altra, quella le grida addosso, le grandina parole dure neanche ci fosse davvero la confidenza per farlo. La confidenza non è necessaria, per mandarsi a quel paese.
Altre volte siamo più concilianti, ci si saluta con gentilezza, con il garbo di un tovagliolo ben ripiegato sul tavolo. Così, senza sporcarsi.
Però oggi, sotto quel tetto di rondini, lei si è fermata un momento.
Patrick e Sarah si sono ribellati all’avvicinarsi di quel grosso cane dal pelo chiaro. Li rassicuro: “Ma no, è Achille! È l’unico cane che ci piace…” Il solo, del vicinato, che non ci ammazzi di abbai e sporcizie. Dall’altro capo del guinzaglio lei, viene verso di noi, la saluto come si conviene.
Forse l’ha conquistata questo commento sul suo cane. Forse le risa dei miei figli che hanno già scalzato i timori e adesso corrono verso il fondo del marciapiede… “Attenti, aspettate!”. Obbediscono, fanno avanti indietro come una navetta, anziani li incrociano e attaccano bottone, come ti chiami, si fanno ripetere il nome, irritando quel loro scandire inutile che gli ha interrotto le corse come un obbligo.
Lei rallenta, sporge due parole: “Come va?”
Mi piace che domandi. Non siamo niente. Ma il sorriso è sempre qualcosa.
Si porta il cane addosso, per non ingombrare, lo tira a sé, sbircia Isabelle: “Quanto ha, adesso?”
Commenta gli altri, che belli, e io mi ci accomodo.
“Com’è andata l’estate? Hai preso bel tempo, sei abbronzata.”
Dice bene, di sole poco, anche loro, però ha un bel colore. Ha una bella luce, forse perché alla fine il cane rabbioso sono io, che poi mi prendi con poco, che basta un ossetto, due parole, e io sono contenta che ci hai provato, che siamo qui coi miei figli che fra un po’ se non si fermano investono qualche vecchio, e tu ti tiri addosso quel tuo cane e c’hai voglia di parlare, oggi. Oggi per qualche motivo ci troviamo a conversare.
Poi trova l’attimo, l’avrà cercato, l’avrà preso al volo, oppure la voce ha parlato per lei, sputa fuori così, come fossi qualcuno: “Adesso aspetto anch’io un bambino…”
Così, coi punti di sospensione alla fine, una rete gettata larga dal pescatore.
Buffa, io, più ancora di lei, della notizia che cerca una confidenza inusuale, o forse solo figlia di una gioia che straripa: mi emoziono.
Sorrido, le dico che sono felice. Sono sincera, osservo: “Per me è sempre una notizia incredibile. Guarda, ho la pelle d’oca.” Lei guarda divertita. È di pochissimo, la pancia non c’è ancora, m’invidia la forma, mi spingo un po’: “Sembra! Ma per fortuna quest’estate ha fatto brutto. Mi ha risparmiato i pantaloni corti!”
Qualcuno penserà che siamo due vecchie conoscenti che non si vedevano da un pezzo. C’è un’aria bianca che dondola. Profumo di gioia. Di buone notizie. Di quelle dolci che esalano da momenti inattesi, aromi di caffè e cornetti dai bar nelle prime ore del giorno.
“Se hai bisogno di qualcosa, chiedi pure.”
Magari la rivedo che ha già partorito. Anche se abitiamo accanto.
Dev’essere proprio contenta, se ha avuto l’impazienza di dirlo a sole nove settimane. A me. La Vita rimescola gli attori. Riscrive le battute. Chiacchiera spavalda di una semplicità che non misura.
Intanto anche Patrick e Sarah sono tornati vicini: ora accarezzano il cane. Hanno fiutato il buono.
Vicine
Qualcosa di nuovo?
Ti avviso io: a caso, quando capita, una vetrina degli ultimi post!