IL LIBRO CON L’ETICHETTA SULL’ACCETTA
Il caso è semplice quanto inquietante.
La parte semplice
“Per le vacanze si consiglia l’acquisto del libro Che spasso il ripasso classe 1, Editore Lisciani”.
Per rispondere con prontezza alle insistenti richieste di Patrick compriamo su Amazon. E in tre giorni lavorativi voilà il volumetto.
In effetti non mi era sfuggito che, a una certa pagina, un’etichetta incollata bene ma non abbastanza da risultare invisibile, mascherava non si sa cosa. Mi sono un po’ vergognata per loro (i.e. gli editori): della serie rattoppo come quelli che fanno gli scolari sugli errori, e non chi i compiti li stila.
Sarà la mia copia, ad essere sfigata? Refuso? Stampa difettosa? Mah.
L’indizio per la parte seconda (quella inquietante) mi arriva da una premurosissima collega, sotto forma di un piccolo sms alquanto criptico: “Che mi dici di pagina 26?”
La solita me ingenua e poco votata alle indagini e all’osservazione (suvvia siamo in vacanza, che vuoi pretendere?) ci mette un quarto d’ora e una telefonata all’informatrice per iniziare a raccapezzarsi negli spunti semioscuri della vicenda.
La parte inquietante
Per chi ancora non sapesse: digitate “Che spasso il ripasso Lisciani frasi violente” su google. Come sempre il web ha tutte (o quasi) le risposte. O almeno le domande.
Sulla pagina 26 un esercizio invita a scrivere una parola che cominci con ogni lettera dell’alfabeto. Dando il LA con le prime tre: A come aquilone, B come balena, C come castagna. Così recita l’etichetta.
Dietro alla famigerata etichetta, però, s’intuisce in controluce o si legge chiaramente – per i più arditi che scollino il rattoppo – quanto segue:
A come accetta che ti voglio dare in testa
B bastonata che ti arriva sulle gambe
C cappio che ti stringe il collo
Ci metto un altro po’ di tempo a ravvedermi della realtà inquietante e a decifrare il guazzabuglio di emozioni che questa mi genera. Nel fitto di una confusione emotiva che quasi mi ammutolisce (cosa rara), inizia il certosino lavoro del raziocinio che mi porta, infine, alle seguenti considerazioni:
- Se basta una semplice parola per fare l’esercizio, chi ha scritto invece quelle frasi intere aveva qualcosa da dire. Cioè lo ha fatto di proposito.
- Siamo in tempo di crisi: mi immagino il Signor Cazzone, chino al suo tavolo, fresco di licenziamento per taglio del personale. In qualche modo deve sfogarsi. C’è chi s’ammazza schiantando un aereo e portando con sé un centinaio e mezzo di civili innocenti. E chi, nel suo piccolo, scarica l’ira a colpi di accetta su un eserciziario. In una miscela mal riuscita di odio e vendetta in cui, come sempre, vengono colpiti gli innocenti. Ma non solo: in effetti anche il “colpevole” di tanto livore (l’editore) non ne esce indenne.
Lisciani compie infatti una piccola serie di cazzate a sua volta:
- Prima manda in stampa senza evidentemente accorgersi del misfatto: una bella figura di m.
- Poi, onde evitare costi troppo elevati di ristampa, pensa bene di risolvere con il rattoppo.
- Infine, di fronte alle accuse fondate sull’evidenza, si scusa pallidamente ma, soprattutto, si affretta a minacciare chi lo diffama.
Sui social inizia a diffondersi la notizia: non ho letto molto, qui internet va a singhiozzo. Posso immaginare che, al solito, l’effetto-palla-di-neve abbia ingigantito la cosa e portato a sconsiderate critiche verso la Casa Editrice. In realtà, chissà quanti bambini si sarebbero fatti due risate pensando ai loro supereroi dinanzi alla scoperta di frasi così vivaci (o no?)… Eppure, scusate, mi ostino a chiamarla notizia. Perché, se una cosa è sicura, è che non si tratta di bufala, e io stessa (con un brivido di adrenalina) sono protagonista della vicenda, libro alla mano.
Quindi – e qui arriviamo alla crème de la crème – che Lisciani apra il suo onorevole comunicato ufficiale con queste parole: “Da qualche giorno sui social network vi è un tentativo illecito di screditare la nostra azienda” mi sembra piuttosto “inesatto” nonché inopportuno.
Caro Editore, hai sbagliato non riconoscendo la bestialata. Hai sbagliato nella scelta di rattoppare così poveramente il tragico inconveniente. E quando finalmente ti sporgi sul pubblico per offrire le tue scuse, esordisci chiamando l’oggettività dei fatti “tentativo illecito di screditarti”?
Le tue scuse si perdono in righe inutili e altezzose come i ricordi divorati dall’Alzheimer. Somigliano a quelle etichette: un po’ deboli. Ti preme molto di più mettere in guardia il pubblico e minacciarlo di querela se dovesse additarti con troppa violenza e diffamarti.
Potevi riscattarti (forse), e invece hai pensato bene di difenderti con l’attacco.
Lascia che ti dica una cosa: è vero, credo anch’io che qualcuno abbia scritto quelle frasi nel tentativo di sabotarti. Ma il resto del sabotaggio lo stai compiendo tu stesso. Non siamo noi a diffamarti, ma tu, che anziché schierarti con noi e rassicurarci sulla ricerca del responsabile, ti adoperi per difenderti.
Diciamolo chiaro: potevi giocartela meglio.