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Altre Verità

Fifty-fifty

«NON AVEVI PAURA?»
«NO, MI AFFIDO», GUARDA IN SU, VERSO IL CIELO: «È COSÌ. FIFTY-FIFTY, LA VITA E LA MORTE»

 

Quand’ero piccola i miei ci portavano negli istituti. Andavamo a vedere persone rimaste immobilizzate per una poliomielite o non so cos’altro. Cosa capivo, di quelle donne anziane in carrozzella che, pure, s’accendevano di una gioia morbida al nostro arrivo? Oppure della Lorenza, la signora con la crocchia di capelli in cima alla testa come un nido, che veniva a volte a pranzo la domenica ma non lo so mica, che cos’aveva. O, ancora, dell’Albertina, due occhiali spessi come oblò?

A volte si andava dalla Bruna, solo adesso – a scrivere – mi arriva il carosello dei loro nomi. La Bruna abitava in una via non troppo lontana e non la chiamavamo mai «Bruna»: quando si faceva il suo nome si diceva «la Bruna».

Aveva i capelli azzurri, celesti come la fata turchina. Però la bacchetta gliel’aveva sottratta il destino,

e la donna se ne stava sempre a letto, due cuscini che la sorella le sistemava con premura. Mia madre ci portava, entravamo: non eravamo né felici né tristi. Era una cosa che eravamo abituati a fare. Salutavamo, beccavamo quegli stessi occhi molli degli anziani che succhiano i bambini con un amore simile, ingenuo e azzurro come i suoi capelli. Forse eravamo noi, la sua bacchetta. Erano bacchetta i minuti che le davamo senza saperlo. Perché più di quel sorriso e di quel viso che si arrotonda riempendosi di noi, aspettavamo i dolci dalla scodella argentata: che fossero tozzi di cioccolata o biscotti avevano irrimediabilmente – tutti e sempre – lo stesso sapore. Ancora oggi quel gusto esatto lo riconosciamo in altri frollini o cioccolati dozzinali e un po’ vecchi: «Sanno di Bruna».

I genitori insegnano ai figli i propri valori. I buoni genitori insegnano ai figli i propri valori con l’esperienza e l’esempio. I genitori ancora più coraggiosi insegnano ai figli i propri valori con l’esperienza e l’esempio, e non hanno aspettative.

Li lasceranno liberi, poi, di questionare e trovare la propria personalissima risposta al mondo.

Oggi sono io a portare fuori i miei figli, è sabato e forse vorrebbero stare a casa a guardare la TV, oppure uscire però per andare alle giostre, a comprare qualche gioco. Invece andiamo a conoscere Antonio. Ma non lo sappiamo ancora, che è Antonio, l’uomo del nostro pranzo.

Mathias da un po’ fa questa cosa. Di andare fuori dal super, in pausa pranzo, e chiedere a qualcuno di quelli che allungano un sorriso e un palmo: «Hai fame? Ti andrebbe un panino?» Poi gli apre la sacca dell’Esselunga, lo fa scegliere. E a quel punto si fanno due chiacchiere. Il ragazzo trova un pranzo e compagnia. Mio marito mangia un tramezzino. E un morso di mondo. Poi una sera mi dice voglio farlo coi bambini.

Siamo usciti coi nostri tempi inaccettabili, dai vestitevi, non voglio venire, Patrick era il più resistente, Isabelle la più duttile. Forse bisogna farle presto, certe scoperte. I piccoli non hanno paura, né pregiudizio, non pensano in anticipo «mi annoierò, cosa ci vado a fare?»

Mi sono chiesta se sia giusto imporsi.

Alla fine eravamo in un bar, i cappucci sulle teste, scaldarci le mani in questo sabato che sembra di nuovo inverno. Ci facciamo fare un panino, prendiamo una bottiglietta d’acqua, andiamo verso il supermercato: lì qualcuno lo trovi sempre, un qualche ragazzotto con la pelle come la terra bagnata, i palmi chiari che raccolgono monete dai carrelli. Avremmo mangiato con lui ma fa più freddo del previsto. L’avremmo invitato in una trattoria con noi ma è così tardi che ha già mangiato. Glielo offriamo lo stesso, il panino: «Lo vuoi per dopo?»

Mathias è esperto, si presenta, chiede se preferisce parlare in inglese: «Questi sono i miei figli», i bambini si trastullano con le riviste prese all’edicola come premio anticipato e hanno fame. È un ragazzone, una grande giacca rossa e vivace, una sciarpa bianca e sicuramente un po’ di freddo. Ha lasciato la moglie in Nigeria, vengono tutti da lì, faceva il falegname, qui non trova niente, replica permessi temporanei di soggiorno, poi viene qua fuori, ma fa i turni, si alterna con un amico, segue orari fissi come un bottegaio.

«Hai bisogno di vestiti?»

Il panino l’ha poggiato dietro di lui, la bottiglietta accanto. Ho pensato che Mathias ha maglie che non usa più perché ormai gli sono larghe. Non è la stessa cosa ficcarle nelle fauci di quei grandi bidoni gialli nelle strade. Non è forse più bello darle ad Antonio, a qualcuno, un volto un nome una storia?

Il volto è rotondo come il mondo, solo che in mezzo ha questa luna di denti bianchi e lucidi, e se gli occhi sono lo specchio dell’animo allora lui se li è mangiati, perché il sorriso non si ferma mai, ha il cuore e la vita che gli battono dentro.

Anche quando racconta del Viaggio, della traversata, e con la mano fa le onde grosse, però ride.

«Non avevi paura?»
«No, mi affido», guarda in su, verso il cielo: «È così. Fifty-fifty, la vita e la morte».

Quando ci sediamo in trattoria siamo felici. I bambini non lo so. Ricorderanno qualcosa o forse niente. Colorano, aspettano il pasto. Non possiamo decidere cosa gli arrivi: fifty-fifty.

Il locale è ormai vuoto, solo gli inservienti che pranzano tardi, altri rovesciano sedie sui tavoli nella sala adiacente. Il cameriere ci ha portato da bere. Posa sul tavolo due bottiglie d’acqua S. Antonio.

 

PORTA IN GIRO LA TUA PAUSA PRANZO, OFFRI PIÙ DI UN SOLDO: OGNI UOMO È PIÙ DI UNA MONETA

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[Foto Lensdrop CC0 License]

Qualcosa di nuovo?
Ti avviso io: a caso, quando capita, una vetrina degli ultimi post!

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Commenti 8

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  1. Lorenzo

    Tuo marito fa quello che ho sempre pensato di fare, ma non ho mai trovato il coraggio. Spero un giorno di riuscirci anche io.
    Un saluto
    Lorenzo

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      Maddalena

      Serve un po’ di coraggio la prima volta, ma non perché si ha paura, ma solo imbarazzo. Credo che la paura possa avere ragion d’essere di fronte a certi senzatetto davvero vagabondi e ubriachi che potrebbero esser pericolosi. Ma mai, mai si può temere uno di questi nigeriani dal sorriso di sole. Un’altra volta, pian piano, mio marito conta di fare due parole anche con qualche senzatetto di quelli davvero dimenticati dal mondo. Ciao caro, a presto.

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      Maddalena

      Offrire un pranzo e due parole, toccare le realtà anziché allungare una moneta e basta: essere “persone”, accogliere questi uomini anche se non siamo in grado di dargli personalmente un lavoro. E’ esattamente questo, il senso: ogni uomo è più di una moneta. Speriamo di diffondere questo atteggiamento. Perché ogni volta che fai due parole e un pranzo come questo, annulli distanze, abbatti la paura del diverso.

      1. Anonimo

        QUesto si’, lo capisco. Pero’ dubito che serva, che faccia la differenza, a parte per la nostra coscienza.

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          Maddalena

          E chi ha detto che non fa la differenza? Un sorriso non dà un lavoro, però dà un sorriso. Da un sorriso e uno scambio nasce vicinanza, dalla vicinanza occasioni, e anche se le occasioni non arrivassero, saremo comunque più “uomini” e meno soli, tutti. Una giornata di merda magari resta una giornata di merda – per dire – ma il minuto di sole rimane un minuto di sole. E, questo, nella peggiore delle ipotesi. La monetina, invece – quella sì – mette in pace la coscienza e non traccia nulla.

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