NOI ABBIAMO CREDUTO PERCHÉ AVEVAMO BISOGNO DI CREDERE
L’ho riconosciuta dal tatuaggio, il braccio aperto, bianchissimo, quel serpente che gli sale su, i colori sbiaditi. La duna del corpo sotto quella trapunta che ormai lasciamo stabilmente in salotto per le coccole, o i malanni.
Mathias dice che si è svegliata alle sei del mattino, ha chiamato che non riusciva più a dormire: “Non voglio, Patrick fa troppo rumore.” Patrick russa con violenza, ogni respiro incide il silenzio della notte, dell’alba. Mathias è dovuto tornare quattro volte: ho paura, dice lei. Alla fine la convince a dormire sul divano in salotto, Sarah sostiene che lì non ha paura.
Il salotto.
Non è normale, dormire in quel grande ventre buio, il ronzare sordo degli apparecchi elettronici, la tv, il decoder. La sagoma di un albero di Natale dove anche il puntale, ormai storto, appassisce sotto feste prossime al finale.
Il salotto.
Ripensare a tutte quelle notti è facile, è rapido. Rapida la mente, pesca una paura mai sopita nel mio petto, la riporta su, la riporta in bocca, quell’amarezza. Il divano è solo un’esca come un’altra. Sono giorni che Sarah crolla per inezie, imbraccia quelle lotte stremanti, l’altra sera ci sono volute due ore. Due ore intorno a un riso cucinato per lei, come lei voleva, e invece a tavola eravamo in quattro, lei su questo stesso, maledetto divano, arricciata in un silenzio di pietra, dopo rappresaglie, urli, non ricordo nemmeno più per cosa. Forse per il posto a tavola.
Com’è facile ritrovarsi in mezzo a quella sterpaglia, la stessa impotenza, la stessa immobilità. Se gliela do vinta e la consolo la chiudiamo in un attimo, tutti a cena, lei dove e come vuole, lei il privilegio. Se invece tengo il punto, allora costa una guerra. A tutti. Ho finito di mangiare che erano le undici di sera.
Come abbiamo potuto credere che fosse tutto passato? Che “passato” volesse dire “risolto”?
Come hai potuto farlo, Professore?
Noi abbiamo creduto perché la fede si erge sui bisogni.
Avevamo bisogno, un bisogno carnale di sapere che tutta quella storia era finita. Ma tu. Credi davvero che un problema così profondo potesse sciogliersi in un pugno di mesi?
Una delle mattine salve dai malanni dei figli sono stata dal parrucchiere. Loro sono due donne, due amiche che danno troppa confidenza. Sulle prime m’irritavo per quell’intercalare – “amore” – anche a me, come fossi una cliente assidua. Poi col tempo, pur andandoci di rado, ho imparato ad apprezzare quel loro calore che si mescola alle mani attente, ai vapori delle tinture, al phon. “Come stanno i bambini?”: ricordano che ne ho tre, la mattina è lunga, solitaria, sono lì con la testa tra le loro mani, il passo è breve.
Gliel’ho detto. Scopro che ho ancora bisogno di parlarne. Dentro mi è rimasto come uno scavo. Mi sono chiesta mille volte perché. Se è la mia mania di narrare, di inoltrarmi dinanzi a una semplice offerta di due parole. Se dovrei essere più riservata. Mi sono sempre detta che da un solco così non mi è possibile staccarmi. La vita ci ha spinte altrove, ma siamo corpi elastici, ho i piedi ancora puntati sull’orlo, la vertigine. Io non ho dimenticato. Io: aspetto ancora la risposta.
Mi hanno ascoltato con cura, una spazzola in mano, le gambe che fanno ritornello intorno al mio corpo seduto. L’hanno capito loro, l’hanno capito delle parrucchiere: “Vai a fondo, non è mica che passa in pochi mesi, una cosa così.”
E io sapevo che avevamo ragione. Tutti quanti: le due donne, noi.
Un’altra delle mie prime mattine solitarie ero stata al consultorio qui accanto: era il 21 settembre, ricordo la data perché era il nostro decimo anniversario di nozze. Volevo un nome, uno psicologo che potesse aiutarci davvero. Mi hanno dato un numero di telefono, gli psicologi infantili stanno in un’altra sede, più lontana. Devo aver guardato sbadatamente su Google Maps, poi i giorni sono venuti a distrarci, hanno messo distanza da quella paura, siamo tornati in asse. Come una buona famiglia: sana. Il foglietto è ancora lì, nel cesto degli appunti sparsi di mille cose.
Devo chiamare quel numero.
Commenti 7
Ciao Maddalena,
l’ansia mi ha accompagnato tutta la vita, e non si può eliminare. La si può accettare (facile a parole). Come spiegarlo ad un bambino/a? Non lo so. Io ho passato quasi tutte le mattine dei mei anni scolastici sul cesso a vomitare niente (perchè niente avevo in corpo). Peró avevo impartato che quello sforzo mi scaricava la tensione. L´ho imparato da solo. Mi faceva stare bene. Alle medie avevo sempre lo stimolo di andare in bagno, e quando si andava in gita per me era un incubo l’idea di non avere un bagno a disposizione. Un giorno tutto è passato. Come? Non lo so. Con mia figlia più grande abbiamo vissuto una esperienza che pensavo potesse accadere quando era alle medie/superiori non all’asilo. L’ansia è tornata. Rinforzata dalla responsabiltà di padre. Le cose sono passate. Risolte? Non lo so. Una cosa però ho scoperto. Essere ipersensibili è un dono che può essere talmente pesante da schiacciarti oppure ti rende speciale. Scoprire che chi ti é accanto ha questo dono ti fa capire molte cose.
Un caro saluto
Lorenzo
Author
Mi commuovi. Un po’ perché ti immagino bambino… ed è terribile vedere un piccolo divorato dalla paura e dalla tensione. Un po’ perché dici che l’ansia ti ha accompagnato tutta la vita. Sono sicura che chi ne soffre abbia una sensibilità particolare, io stessa purtroppo non sono il ritratto della spensieratezza. Tuttavia credi davvero che l’unica via sia accettarla? Parliamo di una bambina di 7 anni: ci dev’essere una ragione che l’ha prodotta. Su una base caratteriale, d’accordo (e imprevedibile, credimi), ma una ragione dev’esserci. Così come dev’esserci un modo per aiutarla che non sia soltanto accoglierla e smettere qualsiasi sgridata o elemento potenzialmente “disturbatore” pur di contenerla. Un abbraccio.
Posso capire quanto sia difficile non riuscire a dare un aiuto concreto a tua figlia. Io con la mia ci ho provato ed ho fatto tanti errori. Sicuramente hai già letto tantissimo ed avrai ricevuto tantissimi consigli da amici ed esperti, però se hai voglia prova a leggere i libri di Rolf Sellin. Non ho trovato soluzioni, ma un modo diverso di vedere le cose. Un saluto.
Author
Grazie. E’ che vorrei una diagnosi precisa, prima. Per ora non l’abbiamo avuta. Poi le cose vanno meglio, poi c’è un nuovo periodo difficile… e non so: non ho molta fiducia negli specialisti. A presto…
Certe volte le parrucchiere hanno una saggezza incredibile, data probabilmente dal fatto che incontrano tantissime donne nella loro carriera. Devo dire che ti hanno detto una cosa giusta: “Vai a fondo, non è mica che passa in pochi mesi, una cosa così.” Ma tu saprai andare a fondo e prima o poi, quel passato, ci sarà e sarai… più forte, più saggia, più in gamba? Questo non lo so ma sicuramente di più.
Author
E’ vero, le parrucchiere sono a contatto con molta gente e fanno un po’ da confessori. Grazie Noemi, è che ho quasi più fiducia nelle parrucchiere, appunto, che negli psicologi… Ogni volta che le cose rientrano temporeggio.
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