Il lago era tanto lungo a qualche metro di scarpata da noi: tanto grande e lucido, eppure intoccabile. Abbiamo irretito i figli, ma sì facciamo due passi. E dire che i due di prima ci avevano ammonito, gli ho fatto segno di mentire, e loro obbedienti hanno mentito: «Solo dieci minuti, si arriva a un bar, una spiaggetta». Il caldo che faceva: spogliava i miei figli uno a uno, li sbucciava come vegetali. La stessa energia dei vegetali, d’altronde, comandava passi sempre più collosi. Dai, Isa, siamo arrivati. Dai, una curva e ci fermiamo. Ma era una di quelle imprese come ne ricordo poche ma pessime, nella mia vita: vi è mai successo di aver superato la soglia, o voi o chi è sotto la vostra responsabilità? La sensazione esatta di quando non ce la fate. Ma dovete farcela. Questo messaggio ve lo siete rigirati in bocca come i gargarismi, cinque, sei volte. E ancora non è finita. Io ne ricordo alcune: una Sicilia di tanti anni fa, un’altra in Alto Adige quando hanno bleffato sulla casa e il giardino mica c’era. Capimmo subito che anche al super-nord qualcuno fa il furbo: «Ma sì, c’è il parco giochi, si paga e si va». Uno: è gratis. Due: il parco giochi del paese lo conosco bene, ci vengo da vent’anni. È che tu dovevi avere il giardino privato, crucchetto. Passammo ore e ore pur di trovare, al volo, una casa migliore: due figli in macchina e la sera che arrivava.
E poi questa.
Alla trecentocinquantesima curva le due girls approfittando dei loro ingenui décolleté procedono a torso nudo, Sarah le bretelle della salopette che schiaffeggiano le chiappe. La parte pedonale è enorme, fa mezza carreggiata, quella in ombra è dove passano le auto. Ha un non so che di perfido allineare ville come gioielli in una vetrina, e palme e cancellate signorili, e dall’altro lato dei nostri corpi tutta quell’acqua: eppure non una piazzola, un chiosco, né un dito di spiaggia. Quando alla fine desistiamo, la scelta obbligata dai tempi, l’idea migliore è prenderci un traghetto che ci riporti a Pallanza, da dove siamo (incautamente) partiti.
La consegna merci (i due figli maggiori) al campus sopra Verbania è tra le cinque e le sette. Per questo ci siamo incanalati in strada domenica e poi in quel giro tutti quanti e poi abbiamo fatto insomma come tutti gli sfigati della domenica. Salvo non trovare le spiagge.
Ma il traghetto è il lusso dei sensi. Sebbene Patrick desideri conoscere la differenza tra un battello e un traghetto
a me piace chiamarlo traghetto: non batte nulla, trasporta umori. Ma lo fa con una grazia che il mare con conosce.
La gente era poca, stavamo seduti all’aperto, il guidatore, da sopra, ha salutato Sarah, qualche turista non intralciava ogni cosa che ci venisse da dire. Sarebbe da farci un corso di yoga, un’alba di meditazione. Te lo immagini? Io adesso mi prendo un giorno, salgo su e mi faccio dieci giri del lago, che tanto è grande: è che sembra non finire mai. E invece finisce.
Il lago è un buon presentimento, un posto gentile per cominciare l’acqua: non ha la forza ambiziosa del mare, però ha grandi spazi. Ti lasci portare e sai che in fondo, sempre, ci sarà un braccio di colli a prendersi ogni fuga, ogni paura. A contenerti.
Sarei rimasta ore. Giorni.
L’altra follia buona sono stati gli alberi.
Gli alberi sono banalità che vedi solo quando si storpiano, o s’ingigantiscono.
C’erano magnolie alte come i palazzi, fiori grandi come volti. I figli sembravano nani, eravamo tutti insetti, sotto enormi cortecce. Ritroviamo quei due, gli grido dai giochi: «Maledizione a voi!», loro ridono, adesso lo sappiamo, dove sono le spiagge, ci andremo dopo, con la piccola. Beviamo e nutriamo una famiglia di uccellini che planano sulle nostre sedie già col becco aperto, torniamo alla macchina. Gli zainetti dei figli. Le loro sacche col nome. Insieme per un campus residenziale non erano mai stati: è Sarah, che l’ha scelto. Poi Patrick s’è convinto. La strada ha perso i palloncini che Viola ha messo a indicazione, l’afa sale con noi, arriviamo pienamente in orario. Arriviamo dopo una bella mezza giornata. Il sole ancora non ne vuol sapere di stemperarsi, il lago adesso è ancora più lontano però è sempre ampio, paterno. Viola ha la sua collana un po’ new age, ci accoglie, ci disseta, chiama e allinea i bambini già presenti: «Dite i vostri nomi».
Saliamo nelle camere, capiamo al volo chi non godrà di troppa simpatia (Sarah e io siamo indicibilmente in sincronia su certe vibrazioni), giriamo l’accappatoio appeso al gancio perché non si veda quanto è sozzo il cappuccio.
I letti a castello sono glabri, tipici di quelle case da oratorio, da comunità. Mi tornano i miei campi con la parrocchia, le stesse camerate, Guccini che ci sveglia dallo stereo alle sette del mattino. Solo eravamo più numerosi, e più grandi.
Oggi si va via presto, si cresce, qualcuna aveva una bambola sul letto che si era portata: poi però uno smartphone sulla mensola accanto.
Sentirò i figli dal cellulare di Viola. Doserò i baci. Glieli do adesso, a flotte. Che belli, che siete, in questa sera morbida. Non pizzicatevi, siate buoni e anche no. Ma siate soprattutto vividi.
Sono felice che siamo venuti tutti, sono felice di potervi immaginare: su quei castelli, in quella saletta, in questo prato, tra questi visi.
Conoscere è amare.
Il cancelletto si chiude, torneremo fra cinque giorni. Da piccoli contavate in notti, anche il Natale, la partenza per un viaggio, le villeggiature. Ora basta dire: «Ci vediamo venerdì sera».
[Foto di 680451 da Pixabay]
Commenti 5
IO sono cresciuta vicino ai laghi (pero’ molto piu’ piccoli), eppure mi fanno un po’ paura, come il mare. Di meglio secondo me hanno le montagne che chiudono un po’ l’orizzonte e mi rassicurano e poi l’assenza di salsedine e sabbia. Di negativo, l’odore, che non è quello salvifico del mare. Quanto ai campi estivi, è una esperienza che con il ricciolino non abbiamo ancora fatto e per ora non ho fretta di colmare la lacuna. In questo, sono molto mamma chioccia!
Author
Così chioccia? Tu? Be’, è il bello delle apparenti contraddizioni, anche il ricciolino pensavo da quanto è intraprendente che volesse lanciarsi in autonomia. Ti dirò: già alla materna avevano fatto scuola-natura, ma ero contraria, li mandai solo perché la mia contrarietà pesava meno del loro entusiasmo. Adesso invece sono più pronti e desideravano entrambi questa esperienza. Tra l’altro a sentirli sembrano proprio felici! Quanto al lago, l’odore è la grande pecca, ti do ragione, e l’acqua a me fa comunque paura, ma il mare è senza limiti e per me è quasi “insopportabile”. 🙂
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