La maternità produce geni.
Non solo nel senso che diventiamo geniali (vogliamo parlare di come riusciamo a somministrare una supposta fingendola una navicella spaziale diretta a rettolandia? Oppure una verdura tritata fine fine nella pasta, o ribaltare un pianto facendo parlare tra loro un indice con l’altro della mano e dire “ciao ciao indice”, “eh? in… dice… cosa dice?”), ma anche nella sua
intrinseca capacità di cambiare il nostro corredo.
Tipo: non ti ricordi un cazzo.
Va bene, perché se ti ricordassi tutte le sleppe che avresti voluto infliggere nelle urla notturne dei pargoli e in quelle diurne per contendersi un ovetto Kinder o perché “mamma ma io non vojo la pasta” (Ma come, hai sgamato la verdurina fine fine???), a quest’ora saresti ridotta come la pecora che stamattina abbiamo lavato in lavatrice e durante la centrifuga girava così forte che Isabelle e io – torcia in mano – non la vedevamo. Che chissà come esce, si diceva ridendo.
Ma l’amnesia rende anche difficili calcoli minimi di sopravvivenza.
Del tipo: quando stavo per immettere la mia seconda figlia nel mondo, sono andata a vedere il reparto maternità dell’ospedale qui vicino, giusto nel caso che la piccola non mi desse il tempo di arrivare a quello prescelto (e infatti così fu). Guardavo tutti quei culetti a punta, quei riccioli di bimbi attorcigliati al braccio delle puericultrici nella nursery, come lombrichi su un bastoncello. L’ho dovuto chiedere, giuro, a una di loro che passava di lì: “Ma scusi, ma questi sono tutti prematuri?”
“No, signora, non se lo ricorda più come sono piccoli quando nascono?”
A livello genitale provai un sussulto di gioia, ma nei piani cerebrali avvertii la sconfitta di una mente in degrado.
E non vorrete dirmi che credete a quelle che ti srotolano a vista età e peso che avevano i figli a ogni settimana e quando hanno fatto questo o quello, mentre i suddetti sono ormai in età da jeans a mezza chiappa e trasudano erba dalle prime rullate?
Tutto si dimentica.
Viene così.
Ricordatelo. Quando vedrai tua figlia saltellare invasata su uno sgabello. Dopo una notte di m. fatta a tossire. Dopo giorni di tosse abbaiante. Dopo capricci mammo-resistenti. Dopo sfinite e infinite occhiaie. E proprio non ti capaciti.
E sebbene tu abbia tre figli e sia madre da una decade, ti ci vuole una mattina intera prima dell’illuminazione: “Ah, ecco cos’è st’euforia. Le ho dato il Clenil”.