Ci sono giorni in cui tutto tace e sembra fatto per lasciar venire. Il suono di campane che saranno, il corteo, una scatola di legno piena di fiori.
Dentro ci sarà una ragazza che cantava al coro della chiesa con me. Ma non sarà nel coro, questa volta.
Dentro ci sarà una donna che ricordo ragazza perché sono passate domeniche a migliaia. Nelle quali ognuno ha fatto un po’ di cose e di strada credendosi speciale. A ragion venuta. Perché ognuno lo è. Credendosi solo. A torto, perché alla fine, come su meridiani diversi dello stesso mondo, ci facciamo tutti più o meno una famiglia, un lavoro, dei weekend fuori porta e delle vacanze estive. E anche se non facessimo alcuna di queste cose, saremmo identicamente umani nell’amore: la sola ricerca che conti.
Dentro ci sarà una ballerina coi capelli corti, il ciuffo da una parte. Quella volta, la prima, che arrivò e nessuno era capace di dire chi fosse una e chi l’altra tra lei e la gemella. Poi nelle settimane e negli anni divenne così ovvio distinguere i loro volti, il nome di ognuna si attaccava alla faccia giusta con immediatezza anche se tutti e due cominciavano con la L.
Che cosa puoi sperare, per una ragazzina di nemmeno cinquant’anni in una teca?
Che abbia imparato come distinguere: il proprio nome da tutti gli altri, anche da chi sembra uguale.
A distinguersi nelle somiglianze, a trovarsi nelle differenze.
Ho rimandato per ore questo momento, ho girato dietro ai miei affari con un senso di colpa come un’emicrania. Mi sembrava di rubare, a fare le mie cose. Ma è pur vero: non possiamo fermarci quando qualcuno si ferma. Non è colpa nostra.
Mi sono chiesta cosa ci fosse a rendere tutto così macchinoso, oggi.
Mi sono detta lavora sodo, su di te, sui sogni: proprio perché la vita passa dalle strade a un fottuto ceppo di rovere nel tempo di un’alba.
Che alla primavera contrappone una grandine di visi rotti, di occhi infranti. E poi la imita goffamente in una corona.
Mi sono detta chi è vivo, viva.
Non abdicare, pensando tanto la vita è così fragile. Sono tutte scuse: la verità è che hai paura.
Ho cercato di spegnere con la gratitudine il senso di ingiustizia: come, a me mille altre chance per drizzare un torto, un progetto, un sentiero? A lei nessuna. Stringi la tua fortuna, allora, sii riconoscente. Smetti ogni resistenza, ogni ormeggio a quelle cazzate che ci diciamo credendo siano inappellabili.
Ma è stato solo dopo la figlia appena presa a scuola. Dopo lo scivolo dove scendeva al contrario, l’altalena che ciondola sbronza. Le bolle di sapone sul nostro terrazzo e le magliette da stendere al sole: che ogni pensiero si è arreso e ogni gesto ha smesso la sua faticosa battaglia per ristorarmi, per reagire.
Allora ho capito che è tutto vero: la storia di sognare e imparare a dare di più, non di meno. La cosa di essere grati. Di smettere le paure.
Ma non puoi farlo subito, quel miglio spinto da questa rincorsa. Non puoi trovare un senso. Né fare bolle di sapone. E nemmeno stendere magliette al sole.
A un certo punto tutto tace e sembra fatto apposta per lasciar venire.
Quel sordo e bieco stupore. Quella ragazza che chissà quante cose ha fatto, speri tantissime. Quella donna che non l’hai pensata per decine d’anni e adesso ti si condensa tutta alla memoria come la sola emozione possibile. È dieci dita chiuse in un pugno soltanto.
Ci vuole una lunga espirazione, prima di richiamare altro ossigeno.
Un tempo vergine, un campo incolto: dove non dirsi più nulla. Dove il silenzio è l’unica voce che valga la vita.
Ciao L.
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Commenti 4
Già. Attimi che tolgono il fiato e poi, come per magia, senza sapere come o perché, si riprende a respirare. In modo nuovo.
Un abbraccio.
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Grazie. La sfida a questo punto è davvero respirare in modo nuovo, anche se siamo sempre molto refrattari. Un abbraccio a te.
Ricordo la sensazione. L’ho provata già troppe volte e ogni volta mi rimane addosso più paura. Non posso farci nulla se non lottare perché la vita prevalga è darle il giusto peso. Ti abbraccio, non potendo abbraccia L., anche se dopo le tue parole è come fosse una conoscente.
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Si fa sempre fatica a relazionarsi con la morte, specie quando colpisce vicino, per età, ambiente, ricordi. Non so immaginare il marito e i figli: lui l’ho salutato con affetto perché a volte ci siamo fatti qualche gita in Dolomiti con lui, quando ero ragazzina, insieme alle rispettive famiglie. Si impara mai qualcosa? Non lo so. Si resta scombussolati, poi si tende e ritrovare la posizione originaria, un po’ come quelle rose dei capelli, sempre girate in un verso. Tendiamo sempre allo stato originario, purtroppo.