Lo chiamano “zero termico”: è l’altitudine sopra la quale la temperatura è inferiore allo zero. In altre parole: il luogo indefinitamente alto e sconfinato in cui fluttuo da giorni. A lanciarmi alle alte quote un week end non proprio riuscitissimo e la solita, solida complicità di una piccola insonne.
Perché non è mica detto che il fine settimana sia la pausa dalle fatiche, una vacanza in formato tascabile, una gioia piccola, il sapore dolce-piccante di un cioccolatino al peperoncino (che di fatto, poi, mi fa pure schifo): capita anche che si traduca in una sorta di galleria degli orrori, tipo quelle dei luna park, le streghe, il buio, e un cretino che ha pure pagato per entrarci.
I figli, nelle passate 50 ore, non hanno dato il meglio di sé, e noi genitori, di rimbalzo, non spicchiamo in simpatia. Patrick e Sarah aspettano di fare qualcosa di interessante, tipo comprare un frigorifero nuovo: l’abbiamo fatto, pochi giorni fa, dopo ricerche durate settimane e che li hanno evidentemente galvanizzati, tra corse intorno ai grandi elettrodomestici, schermi piatti da cui uscivano palle in 3D grazie a stupidi occhiali di plastica, e chilometri di metri di carta, regolarmente portati poi a casa, a condire i mobili già pieni di altre inutili mercanzie. Il concetto che si compra un solo frigorifero alla volta non dev’essergli chiaro, oppure l’impazienza riempie le loro bocche minute: “Quando arriva il frigorifero?”
Mentre io mi impegno in strazianti riti di accoppiamento (la coppia Isabelle-sonno, da sempre mal assortita), Mathias riduce al silenzio i grandi, sedando ogni due per tre le dispute su chi debba prendere il pezzo più grosso di lego: “Ma la Sarah ha preso tutti i tetti!” Per la casa rotolano le urla stridule della bionda, gridi in tutto e per tutto simili allo scricchiolio del gessetto sulla lavagna che ogni povero cristiano ben conosce, amplificati di alcune migliaia di decibel. Patrick fa eco sfilando con tutta la serie delle sue frasi cult: “Ma io…”, “Ma perché dici sempre…?”, “Ma perché non possiamo mai…?”
Mentre io sto piegata a novanta, grondante di sudore, sulla culla, notando ormai una spiccata somiglianza della stessa con una bara in cui soccombere una volta per tutte, sento il povero marito intercedere, interrompendo con zelo ogni tentativo di occuparsi di sé per accorrere a riappacificare i fratelli. Ripenso alla famosa tata Lucia: “Lasciali fare. Devono cavarsela da soli. Non devi intervenire sempre.” Vero. Forse. Per chi non ha altri figli. O li ha sordi.
Il pranzo è una virgola rapida tra due fasi di sclero, poi si riparte alla missione della messa a letto. E il ritornello ben presto riappare: “Cosa facciamo adesso?”
C’hanno ragione, per carità. Però un frigorifero no.
Si prova con i giochi in scatola, una spesa al supermercato, e infine si approda, nel vano tentativo di risollevare un sabato moribondo, da Decathlon, ad acquistare un caschetto per figlio.
La domenica comincia alle 5 e mezzo, grazie a “Isabelle: la sveglia che non si scarica mai, non serve filo, non serve pila, se ti va male piange, se ti va bene gorgheggia.”
Un copia-incolla del giorno prima, solo un po’ più consumato. L’occhio appiccicato a quell’orologio che abbiam cercato (botta di vita) di insegnare a leggere a Patrick, sto solo aspettando che la notte mi prelevi dal limbo di scazzo in cui scivolo inesorabile. Mi sento come le mie tette: una vacca risucchiata che ormai stramazza. Ed è vero, i figli lo sentono, appassiscono a vista d’occhio. S’increspano in lamenti crescenti, traboccano in crisi isteriche, svaniscono dietro a porte sbattute.
E a questo punto, mentre vorresti solo una pausa che non comporti nulla che ha a che vedere con la genitorialità, ti chiedi: quanto è giusto insistere per cercare di riscattare un week end che non lievita?
“Li porto a fare qualcosa, dai…” sibila ancora Mathias, raschiando il fondo.
Io non lo farei: “Ormai sono nervosi anche loro. È andata così. E anche tu sei a pezzi. Se non va più che bene mi tornate peggio di prima.”
Bisogna accettarlo: non tutte le ciambelle riescono col buco.
Qualcuno mi riporti a terra, per favore! E adesso, piccola, scusami se, mentre giochi sulla sdraietta, io – tappi alle orecchie – digito lontanissima. E ho smesso di rialzarmi a raccattare tutti i tuoi passatempi, quando il tuo vero passatempo è farli cadere.