Da qualche parte, nel fitto del bosco e delle mani che muovi incerta, c’è una risposta.
Ti hanno insegnato a guardare per terra per non inciampare, e così fai: guardi in basso.
È solo per questo che non vedi.
Per questo hai paura: t’immagini che dopo il prossimo slancio di abeti e di ombre chissà che fine fanno il muschio e il sentiero.
T’immagini che dopo il sentore di luce grandi dirupi ti divoreranno.
Per questo vai piano, ti fermi di continuo.
A volte siedi su un sasso inumidito dal mattino. La nebbia t’infilza e la grande domanda rimane: restare dove sono o proseguire?
Hai davvero, questa scelta?
Hai davvero la scelta di stare seduta, come quando da bambina eri stanca e sbuffavi per una gita? Tuo padre ti diceva okay fermati un minuto, ma poi ti faceva ripartire. Ora vorresti che qualcuno lo facesse ancora: di stare lì e riallacciarti le scarpe, estrarre una zolletta di zucchero dalla tasca, una composta di frutta dallo zaino. Aspettarti. E poi fidarti che lui ti porterà in un posto magico.
Puoi proseguire pensando a un dirupo che non sai. Oppure pensando che c’è un posto magico.
Da qualche parte, oltre il fitto del bosco, oltre le unghie dei pini e il sentiero fangoso.
C’è una risposta. C’è tutto il resto del mondo.