PERCHÉ SI PARTE
Dio com’è strano. Ho chiamato il mio taxi, un po’ prima, sai come tutte quelle cose compresse da una paura. Che ti racconti essere impazienza, ma il corpo lo sa e mica lo fotti. E in un momento mi sembrava di piangere.
Che è, sta cosa? Vorrai mica piangere? Noi non sappiamo mai, io non so mai, lasciarmi essere se non c’è una ragione. Eppure le lacrime si fanno di sali e di acqua e mica ti chiedono il permesso, nemmeno lo sai, dov’è che prendono quelle sostanze. Poi viene la scrittura, la Grande Madre: s’accolla quello che arriva, se lo mette in spalle. Ti lasci cullare.
Non sto andando in nessun posto che abbia alcunché di negativo. È un seminario cui mi sono iscritta. Solo che non era questa, l’intenzione: era scappare. Era provare, provarmi,
uscire dai vestiti che passano stagioni e tu sempre gli stessi.
Perché si parte?
Per divertirsi, per lavoro, per studiare, per staccare.
Per dimenticare. E così, dopo, puoi ricordare di nuovo.
Per trovare. O soltanto cercare.
Per.
Forse partire è come piangere. Ha sostanze che non ti chiedono il permesso, un po’ come dovresti fare tu: darti il diritto senza passare tutte le tappe di una staffetta autoimposta. Se vale la pena, se vuoi davvero, se costa troppo, se servirà e a cosa, se qualcuno ci resterà male. Se.
Togli il se. Lascia soltanto il per.
Ché tanto, qualunque fosse la ragione, quando arrivi alla data che pareva così lontana, le ragioni sono già cambiate. I sensi hanno un’illogicità che dovrebbe insegnarci a fluttuare. Ho visto la valigia pronta, la lista di cose, accanto. Le cose dapprima sul letto, adesso sono dentro. Tutto è pronto. Stamattina Isabelle mi chiedeva: «Vuoi andare al corso, o vuoi restare con noi?»
Le dico che voglio andare.
Ha ancora due righi di pioggia, così sembrano: il trucco di pennarelli tracciato dalla sorella per Halloween già due sere fa, si è fatto le notti, sbavando i cuscini.
«No, non hai capito!»
«Certo che ho capito. Mi hai chiesto se voglio andare, e io ti ho detto di sì».
«Ma mi hai detto la risposta sbagliata!»
La risposta sbagliata…
È bastato dirle che se questo corso durasse per sempre, non vorrei farlo: «Voglio andarci, perché so che torno. Se durasse per sempre, allora io non sceglierei mai quello. Io sceglierei voi mille milioni di volte. Come te all’asilo: tu ci andresti, all’asilo, se non potessi più tornare a casa?»
Non ha più chiesto nulla. Forse si struscerà sulle mie gambe al momento che vado. Come i gatti, la coda s’alzerà in cerca della mia permanenza.
Mi tornano adesso, le domande e le motivazioni, il gesto è così semplice eppure è profondo quando viene da tutto un budello di sottopassi e di frizioni. Di ricerche interiori e di frasi, dove i sì sono diventati forse, dove pochi capisaldi si ergono e a volte sbandi anche attorno a quelli. Dove un minuto dopo l’altro hai cambiato desiderio. E mai più avresti immaginato: che quasi piangi, dopo aver prenotato un taxi.
[Photo by Yeshi Kangrang on Unsplash]
Commenti 5
Parti e poi torna, indipendentemente dal per. A volte non è importante, bisogna solo seguire l’istinto e la voglia
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Mah. L’istinto era forte ma poi si è indebolito, e infine sul punto di partire non avevo più spinta. Ma qualcosa vale sempre.
E lì entra in gioco la decisione, la determinazione. Perchè se l’istinto ha detto parti, devi ascoltarlo, forzando con determinazione quando il cervello rema contro il cuore, la paura blocca i passi.
Ma tanto lo hai fatto già, l’ho letto nel tuo ultimo post. E visto che l’istinto aveva suggerito il giusto, spingendoti a partire?
Author
Hai ragione, carissima. Saggia. Grazie Giulia. :*
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