Maternità

Soggezione

LA PRIMA, GRANDE PAURA MISTA A VERGOGNA

 

Deve averti fatto proprio paura se adesso te ne stai lì senza colpo ferire.
Allineata ai tuoi fratelli come giocatori che accettano in silenzio di restare in panchina. D’altronde siamo stati fortunati, amore mio: devi sapere che il supermercato non è un parco giochi.

2016-03-05 18.27.27_pe_wprnPrima le evoluzioni acrobatiche sul carrello: io rido, la rapidità con cui passi dal vano grande al seggiolino scavalcando i cartoni di latte, poi ti ergi in piedi affidandoti al tuo equilibrio precario, ti aggiusti di traverso, le gambe a penzoloni (per quel poco che possono spuntare fuori, diciamo a malapena le caviglie e le tue finte Clarks testa di moro), quindi riconquisti lo spazio retrostante, battagliando con tua sorella per chi si aggiudica quei brik come sedile degli eletti. Poi un pacchetto di cracker perché in mezzo a tutto quel ben di Dio non si può stare a bocca asciutta e tua madre ha già divelto il pacco Saiwa alla ricerca del quieto vivere, abituata ad arrivare in cassa con qualche involucro già smembrato.

Sulla corsa finale verso il pedaggio tuo fratello reggeva tre confezioni di budini, a pochi passi dall’arrivo uno gli scivolava malamente di mano: splash! E in attimo è uno schizzo giallognolo di vaniglia sul piastrellato. Ho provato a dire lo prendiamo lo stesso: è colpa nostra, è colpa sua, o non è colpa di nessuno, se Patrick ha la presa distratta, le mani di pasta frolla, come diceva mia madre.
La ragazza alta non più di un metro e trenta si aggirava ora al di qua ora al di là delle casse, l’avevamo notata tutti: io, che ho l’occhio svelto e alquanto sadico a volte, Patrick che, irriverente quanto sua madre ma col lusso dei suoi giovani anni, poteva permettersi di dirle chiaro e tondo: “Sono quasi più alto di te!”, e Sarah, che dal carrello in cui stava accovacciata nel suo vestito di Frozen con la scusa di una caviglia dolente mi ha sussurrato: “Mamma, ti devo dire una roba: hai visto com’è bassa quella lì?”, col garbo di una signorina, mentre l’additava, là in punta di piedi sulla balaustra all’ingresso.

Ci raggiunge con un rotolo di carta cucina, pulisco il pacchetto, quella si china (quel poco che basta, inutile dirlo) e asciuga per terra: “Ne prenda un altro.”
“Ma come? Non è mica difettoso.”
“Ma sì, si è rotto in negozio, è responsabilità nostra, può cambiarlo.”
Ho insistito con un pizzico di orgoglio per mostrare anche a voi di quale pasta è fatta l’onestà, qua e là scorgendo occhiate miste di curiosità e rispetto negli altri accodati. Finché è apparso chiaro che acconsentire fosse la gentilezza maggiore con cui adeguarsi alla situazione. Ma, non contenta, ho sfidato la sorte e dato fiducia al mio ometto lasciando che nuovamente fosse lui a portare in cassa una confezione nuova di budini. Questa volta senza acrobatiche cadute di stile.

E quando, infine, giunti al fatidico sprint finale dell’imbustamento, vi ho detto sedetevi qui per poter impacchettare tutta quella roba con papà, voi avete preso diligentemente posto su quella panca coi braccioli di ferro che qualche uomo sapiente ha collocato al fondo, oltre le casse, giusto a ridosso della vetrata. È stato allora che, scavalcando il bracciolo della panca, in una plastica posizione a ponte ti sei allungata sull’irresistibile sedia girevole adiacente.

A quel punto non potevamo farla ancora franca: “Ehi, ehi, no, questa no!”, la donna fantino si getta a picco su di te, ti rimette a sedere prima che io possa intervenire, sposta la sedia del divertimento abbastanza lontana da rendertela irraggiungibile. Quindi si pianta davanti a voi tre: “Adesso state seduti qui, fermi, mentre la mamma finisce di mettere via la roba. E non vi muovete. Se vedo qualcuno che fiata vi prendo io. Fermi! Senza fiatare!”
In un attimo, irriconoscibili, siete diventati tre gnomi da giardino.

E tu, piccola, non hai pianto, non sei scesa dalla panca, non mi hai cercata: ti sei affossata nella giacca, arricciata su di te come un vermicello su uno stecchino. Sei rimasta così per un tempo che anche a me, adulta, è sembrato interminabile. Una donnina così piccola, ho pensato, vi ha messi in riga più di mille parole o gesti che quotidianamente produco io stessa. Qual è il suo segreto?
Sono riuscita a metter via quasi tutta la spesa, non ti sei più mossa, soggiogata da un sentimento nuovo: la soggezione di un estraneo.
La prima, grande paura mista a vergogna.

La donna fantino è tornata sulla sua balaustra, adesso, vi guarda da lontano, mi biascica un sordo “Scusi!”. Forse è in soggezione anche lei. Io invece, tutto sommato, l’ho anche apprezzata, vorrei scucirle il Segreto, mentre ti raggiungo e ti prendo tra le braccia, ti srotolo pian piano e approfitto di questa sensazione squisita di essere il tuo nido salvifico.

Qualcosa di nuovo?
Ti avviso io: a caso, quando capita, una vetrina degli ultimi post!

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