CHE NON SIA INDICIBILE, CHE NON SIA UNA VERGOGNA. NON SIA QUALCOSA CHE «SE C’È, SEI SBAGLIATO»
Ciao carissime. Ciao anche a te, uomo isolato in questa foresta femmina come il sodio nell’acqua Lete.
Siccome sono in un periodo di onestà anti-buonismo, ho deciso di fare una piccola lista di storture. Badate: ogni sera chiediamo ai figli «diteci una cosa bella di oggi». Uno è restio, l’altro refrattario, l’ultima recalcitrante. Avete capito come va. Così da ieri ho stabilito che ognuno potrà dire una cosa bella e anche una brutta. La verità è che tener dentro le cose brutte facendo il sorriso a tutti i costi è doppiamente molesto: perché non ci salva (ciò che non esprimi, rimane), e perché non insegna ai bambini (e nemmeno a noi) la verità duale dell’uomo: siamo fatti anche di ombre. Bisogna farsene una ragione. Bisogna che sia naturale saperlo, vederlo.
Che non sia indicibile, che non sia una vergogna. Non sia qualcosa che «se c’è, sei sbagliato».
Bisogna che si smetta di dire «se fai il broncio mamma non viene» e altre simili idiozie, che io stessa sciorino senza nemmeno accorgermi. Se ci pensate ve ne verranno in mente a dozzine. Il sempreverde è quello girato a far finta d’esser carino mentre è una bestemmia alla libertà emotiva: «Sei più bello quando ridi che quando piangi».
A parte che possa essere discutibile (mia figlia è meravigliosa, quando piange: ha tutta un’espressione, ha i muscoli che le fanno un concerto. E cosa dire di certi ritratti, fotografie, o anche persone dal vivo? La verità è che non abbiamo coraggio, ci caghiamo sotto.
La verità è che chi piange o si arrabbia genera reazioni scomode. È più maneggevole un sorriso,
plastico, morbido, lo infili dove vuoi, se non lo guardi non ti senti in colpa, sai che se la caverà comunque. Magari si fa due passi in cielo).
A parte questo: perché dobbiamo arginare subito l’emozione di un altro, con l’assurda pretesa di averne il diritto, il potere e la chiave?
E perché oggi va così di moda essere felici?
Perché siamo tutti zen, siamo lasciar fluire, siamo resilienza. Siamo decine di parole che tirano fuori concetti invece così antichi. Li rispolverano che è come i jeans a vita alta: andavano già negli anni ottanta, chi non li ha mai buttati è stato furbo. Ma adesso sembra che c’hanno tutta questa nuova grinta. Non è vero?
Così se ti capita una stortura, oltre alla stortura hai la vergogna. Non puoi dirlo: non puoi mica farti largo tra gattini e fiori di «gratitude», cuori traboccanti di perdono e primavere scoppiettanti di promesse con la tua giornata sciapa, con la gomma bucata, con l’imprevisto di m. Oppure con quello stesso chiodo che da anni magari cerchi di affondare dove devi e ancora non ti riesce. Vorrai mica lamentarti.
Ma c’è sempre un gradino, per salire in salvo su un marciapiede. C’è sempre una maglia sudata, per arrivare a un traguardo. C’è sempre un corridoio di giorni esausti, per arrivare alla porta aperta. E anche nella più precisa delle giornate c’è un insulto che ti sei tenuta a stento, un basta che avresti voluto infliggere senza riserve,
un caffè troppo amaro, una panchina con le assi sbucciate dalle piogge, un bambino che ti rapisce nel suo farneticare e avresti voluto farti i cazzi tuoi anche se di solito ami i bambini. Una calza col buco. Una pasta scotta. Una risposta che non te la meritavi. Una faccia allo specchio che ancora si cerca.
Perciò eccola: la mia lista di storture (scremata per non gravare troppo sui vostri umori).
- Detesto che sia maggio e serva ancora la giacca a vento, anche se riconosco che questo inverno esteso oltre ogni pudore posticipa il cambio stagione negli armadi.
- Mi spiace non essere stata in grado di mettermi il necessario berretto di lana per puro pudore.
- Mi sono rotta le scatole di andare a prendere mia figlia all’asilo all’uscita corretta delle 15.45-16.00 e trovare che l’hanno già spostata nella classe degli avanzati alle 15.55 per comodi loro.
- Sono stufa di stare a lavorare in casa ma la caffetteria che prediligo non aveva il codice wireless. Le altre, temo, manco hanno internet.
- Non mi piace il punto in cui mi trovo. Sto cercando di spostarmi. Ma temo sia un punto interno.
- Vorrei essere capace di tutte le cose che vado scrivendo. Per esempio questa, di ammettere davvero le proprie ombre, senza paura.
- Odio odiare chi è morigerato e poi vedere che la mia grande avventura si schianta al primo semaforo rosso.
- Invidio le donne ancora giovani.
- Mi danno parecchio fastidio i pollini, anche se a volte sembrano una neve, soltanto sbagliata.
- Odio quando mi sveglio col naso chiuso.
- Siete meravigliose(i), ma ricordate che odio i gif.
[Photo by Fabien Bazanegue on Unsplash]
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