Quand’ero bambina catturavo coccinelle e le mettevo in un barattolo di vetro che chiudevo col cellophane. Gli addobbavo tutto, gli facevo l’habitat. Il cellophane lo foravo con uno spillo rubato al set di cucito della mamma. È un po’ così che mi sento, come quegli insetti a pois. Adesso lo sapete.
I piedi ancora sull’orlo
Mathias è dovuto tornare quattro volte: ho paura, dice lei. Alla fine la convince a dormire sul divano in salotto.
Ripensare a tutte quelle notti è facile, è rapido.
Come abbiamo potuto credere che fosse tutto passato? Come hai potuto farlo, Professore?
Devo dirti grazie
Mi reggevo ai buoni segnali che arrivavano, alle forze che scaturivano dai punti saldi, ai corrimani degli affetti: poche volte ho pensato davvero come stavi tu, alla tua lotta. Pensavo a sopravvivere, a tirarci fuori.
Così lo faccio adesso.
E mentre ti compro un menu che poi mi confezioni nella sua scatoletta coi manici so che non te ne sei mai andata.
Amare non è poco
Non è colpa mia.
Ho bisogno che tu lo dica, Professore. Non perché sono questa gran donna, potevo anche annegarci in quelle sentenze che rivendicavi: ho tenuto duro. Ho bisogno che tu lo dica perché io lo sapevo che amare non è poco.
Quarto piano
Non chiederle di Rosy. Se le chiedi di Rosy finirai col piangere. Ti chiederà come stai, come stanno i bambini. E tu non aspetti altro, oggi. Null’altro che una di quelle acquasantiere in cui sciacquare le fatiche. Il suo viso così delicato sarà irresistibile, ti ha preso in braccio quei giorni che Sarah aveva poche settimane e non mangiava. Ti diceva come spremere il seno per far uscire più latte. Ti diceva ci vediamo giovedì alla stessa ora. E a te bastava, perché una mamma impaurita ha bisogno di certezze, di un giorno e un’ora.
Senza caramelle
Ha ripreso con le nausee, i crolli. Chiamali come vuoi, dottore, chiamali attivazioni emotive, usa il tuo linguaggio arguto e accademico, strapazza due genitori rimasti accanto a un cesso mezzora, stamattina. Lui la teneva ferma, io infilavo le maniche, i capelli restavano così, in mezzo, li tiravo senza volerlo
Un filo nel vento
Imparare. Da capo. Non tutto, ti tieni quel tono che ti sfugge, troppa dolcezza ti sfigura. Ma devi smetterla di difenderti, prima, e di colpevolizzarti, poi. E imparare: la possibilità di quei piccoli sgorbi materni. Che poi tua figlia ci ha disegnato sopra. E poi ti cade una goccia di succo, non te ne sei accorta. Sembrano gli occhi di un corvo nella notte. A te non pare, e a lei fanno paura.
La successione delle cose
Mi mancano le mattine e mi mancano le sere. Scandire la giornata in quel modo che hanno loro, che sanno senza sapere le ore, che conoscono la successione delle cose. Quanto vorrei sapere, anche io, la successione. Che cosa viene dopo, Sarah? E poi prendervi e amare. Uno per volta. Tutti.
Capendo che
Sto imparando. A non fare eco, dentro. Quei sassi che lancia suo malgrado mi cadono negli occhi e io li tengo, non ascolto il ridondante formarsi di anelli perpetui e concentrici.
Nonostante l’amore
Spezzetto le giornate, come gli alcolisti. Mezza alla volta, un’ora. Le riempio di telefonate. Quando la sera rientra Mathias io scappo
Una famiglia per bene
Invece può succedere a tutti, sai? Che sei perfettamente in bolla, cazzo quanto sei dritto, sei il filo a piombo della maternità, le brevi oscillazioni si sono ammortizzate subito, vai giù diritto che sei una meraviglia. Eppure lo smacco ti arriva uguale, ti becca lì in mezzo alla fronte come il colpo d’un cecchino.